hi è l’innamorato che festeggiamo a San Valentino? Cosa distingue un innamorato da uno che non lo è? Ed esiste un unico modo di esserlo? A queste domande ha risposto una volta per sempre Platone, ventiquattro secoli fa. In seguito ci hanno girato intorno in tanti, ma il succo era già contenuto nel Simposio del filosofo ateniese. Da lì mi limiterò a estrarlo, nella speranza che susciti in chi lo ignora la stessa meraviglia e lo stesso senso travolgente di scoperta che provocò in me quando lo conobbi e, per restare in tema, me ne innamorai.
L’innamoramento, dice Platone, non è un dio, ma un demone: una sorta di ponte che mette in connessione il cielo con la terra, lo spirito invisibile con la materia sensibile. Le conseguenze di questa rivelazione sono decisive. Se l’amore non è un dio, allora ciò che noi cerchiamo nell’amore non può essere la perfezione, ma la completezza. E se è un ponte tra cielo e terra, significa che quando ci si innamora si entra in contatto con l’energia dell’universo. Per questo l’innamorato si sente in sintonia con tutto quanto lo circonda ed è posseduto da una forza rivoluzionaria che lo spinge a fare progetti, a svegliare tutti i sensi compreso il sesto, a coniugare i verbi al futuro. L’amore di Platone è tutt’altro che platonico. È una forza della natura. Essere amati rimane gratificante, eppure il Simposio lo retrocede a evento tutto sommato secondario. Se Eros risiede nell’amante e non nell’amato, ne consegue che il culmine dell’esperienza umana non si raggiunge nel ricevere amore, ma nel darne.
L’innamoramento, dice Platone, non è un dio, ma un demone: una sorta di ponte che mette in connessione il cielo con la terra, lo spirito invisibile con la materia sensibile.
Fin qui l’amore viene ancora rappresentato come il trasporto fisico e sentimentale di un essere umano verso un altro essere umano. Sennonché a un certo punto Platone, con l’estro del poeta prima ancora che del filosofo, compie uno scarto. E dovendo dire l’indicibile, lo affida alla voce di una donna, la sacerdotessa Diotima, di cui Socrate racconta le rivelazioni agli altri convitati. Ogni essere umano, dice Diotima, aspira più o meno consapevolmente all’immortalità. L’innamoramento, infatti, provoca il desiderio di generare qualcosa che ci sopravviva. Dei figli. Ma non solo fisici. Anche spirituali. Perché anche l’anima, proprio come il corpo, può eccitarsi davanti a ciò che sente bello e provare la pulsione irresistibile di procreare qualcosa che le sopravviva.
Perché anche l’anima, proprio come il corpo, può eccitarsi davanti a ciò che sente bello e provare la pulsione irresistibile di procreare qualcosa che le sopravviva.
L’amore che dovremmo onorare a san Valentino è dunque un’energia che si impossessa dell’amante e si esprime in una tensione creativa. Se invade il corpo porterà alla nascita di una creatura in carne e ossa. Se invece invade l’anima genererà delle opere, il cui catalogo non si esaurisce con le creazioni artistiche. Persino la bella politica, sostiene Platone, è una figlia spirituale dell’amore (ultimamente ci deve essere stato anche qui un drammatico crollo delle nascite). Ma ciascun innamorato può generare i frutti del proprio talento, qualunque esso sia. Perché tutti ne hanno uno, anche chi è convinto o è stato convinto del contrario.
Alla fine sembra essere proprio questo il messaggio universale che Platone lascia all’uomo moderno. Ogni essere umano viene al mondo per creare attraverso l’amore. Non importa l’oggetto verso cui dirigerà la sua energia creatrice. Si può amare una persona, un sogno, un ideale. Ma si è veramente vivi soltanto se, e finché, si ama qualcuno o qualcosa.
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