Il patto tra Sandro Principe del Pd e la ’ndrangheta La coop fondata apposta per assumere il capoclan.
REGGIO CALABRIA – Era considerata la capofila delle amministrazioni virtuose in Calabria, ma per i magistrati non è che «un sistema fortemente inquinato dalla criminalità organizzata, piegato agli interessi del clan». Si squarcia il velo su Rende, popoloso comune alle porte di Cosenza, per anni feudo storico di Sandro Principe, uomo forte del Pd di Cosenza finito ieri ai domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale. Era lui – scrive il gip Carlo Saverio Ferraro – «l’unico capo di quel sistema» che ha regalato la città al clan Lanzino- Ruà.
Sessantasei anni, in politica fin dall’adolescenza con i socialisti, Sandro Principe è stato per lungo tempo uno dei pesi massimi del centrosinistra calabrese. A 38 anni è in Parlamento da deputato, dove rimane per diverse legislature, quindi sottosegretario al Lavoro per i governi Ciampi e Amato. Poco importa che negli anni 90 il suo nome finisca in una delle prime inchieste sui legami fra ‘ndrangheta e politica. La sua stella continua a splendere anche prima che i pm archivino le accuse nei suoi confronti. In Calabria è sindaco della sua città, consigliere, assessore e capogruppo pd in Regione. Il grave attentato che subisce nel 2004, quando un folle gli spara durante un’iniziativa elettorale, rallenta ma non ostacola la sua carriera, su cui adesso grava l’ombra della ‘ndrangheta.
Ma nella sua caduta Principe non è solo. Trascina con sé tre membri storici del suo entourage, l’ex assessore comunale Giuseppe Gagliardi, l’ex consigliere provinciale Pietro Ruffolo e l’ex sindaco di Rende, Umberto Bernaudo. Insieme a loro, Rosario Mirabelli, nella vita transitato nelle liste di cinque partiti, ma nel 2010 eletto in Regione per il centrosinistra coi voti dei Lanzino Ruà. Fatta eccezione per quest’ultimo, sono nomi pressoché sconosciuti fuori dal Cosentino, ma che adesso rischiano di provocare più di un imbarazzo al governatore Mario Oliverio, perché hanno tutti avuto un ruolo nell’ascesa dell’attuale presidente. Se alle ultime regionali Mirabelli ha scelto invano di tornare in Regione con la lista Oliverio presidente, Bernaudo e Ruffolo sono i proconsoli che Principe ha schierato alle provinciali vinte nel 2009 dall’attuale governatore. E anche in quella tornata elettorale, per i pm avrebbero pesato i voti raccolti a Rende, dove – scrive il gip – ci sarebbe «un legame storico tra l’intero gruppo criminale e Sandro Principe».
Agli inquirenti lo hanno rivelato i funzionari e i dirigenti che negli anni hanno fatto camminare la macchina amministrativa del Comune, alcuni dei politici che l’hanno guidata (a un ex sindaco Principe, intercettato, si rivolse al telefono così: «Ma pensa a fare il sindaco, che stai facendo il procuratore della Repubblica!»), e tre collaboratori di giustizia: Pierluigi Terrazzano, Roberto ViolettaCalabrese e Adolfo Foggetti. E i loro racconti, sulle «regole rendesi » che piegavano i destini della città agli accordi fra Principe e i Lanzino-Ruà, coincidono. Anche quando Principe non deteneva cariche – hanno spiegato tutti ai pm Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni – era lui a decidere. Perché era lui ad aver stretto l’accordo con i clan che ha permesso al Pd di dominare per oltre 15 anni la politica cittadina. In cambio i Lanzino-Ruà hanno avuto appalti, concessioni e lavori, ma anche una cooperativa comunale costruitaad hoc, che nel 2008 ha dato lavoro persino al capoclan Ettore Lanzino. Ma non era il solo.
Articolo intero su La Repubblica del 24/03/2016.
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