In poche righe le informazioni necessarie per sapere di cosa parla il quesito, che effetti avrà, quale bugie vi hanno detto.
Vademecum Referendum: oggi si vota, dalle 7 alle 23, in tutta Italia. Punto per punto, torna utile ripercorrere i nodi della consultazione. Il quesito. Si chiede agli elettori se vogliono abolire la norma che permette alle compagnie petrolifere di prorogare le concessioni per estrarre gas e petrolio in mare entro le 12 miglia (oltre questo limite, sarà ancora possibile), fino all’esaurimento del giacimento. La legge in vigore. Dice che sono vietate le attività di ricerca, di prospezione e di coltivazione di idrocarburi in mare entro 12 miglia dalle linee di costa. Ma che “i titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento”.
Se vince il Sì. Sarà cancellata la parte della norma che dice “per la durata di vita utile del giacimento”. Il referendum ne abroga quindi solo una parte e non si ritorna alla norma precedente. Semplicemente, si bloccano le proroghe con l’intenzione di eliminare completamente le trivelle nelle 12 miglia. Lo dicono il giudizio della Consulta sul quesito (“in vista del chiaro ed univoco risultato di non consentire che il divieto stabilito nelle zone di mare in questione incontri deroghe ulteriori quanto alla durata dei titoli abilitativi già rilasciati”) e l’ordinanza della Cassazione sul referendum (l’intento referendario è diretto – tra l’altro – a limitare, in ragione dei soli “titoli abilitativi già rilasciati” e, quindi, della durata da essi previsti, l’attività prospezione, ricerca e coltivazione… escludendo la possibilità di effettuare le predette attività anche mediante titoli abilitativi ancora in corso (e, quindi, con durata ancora non determinata) ed “eventuali relative proroghe”.
Se vince il no. La legge resta com’è e si potranno chiedere proroghe anche fino a 50 anni. Con la legge di Stabilità, dal 1 gennaio 2016, non si possono rilasciare nuove concessioni e quindi nessuna nuova società potrà trivellare. Si rischia anche una procedura d’infrazione europea perché significherebbe riservare, senza limiti di tempo, il petrolio e il gas di quella zona alle sole aziende già operanti, a discapito della concorrenza.
Il gas. Nelle 12 miglia si produce il 3 % del totale del fabbisogno nazionale.
Il petrolio. Nelle 12 miglia si produce poco meno dell’1% del fabbisogno nazionale.
Le piattaforme. Se vince il Sì, le compagnie petrolifere titolari delle concessioni (Eni, Edison, Gas Plus) dovranno smantellare le piattaforme nelle 12 miglia alla scadenza. In 10 anni, si passerà dalle 44 attive oggi a una sola concessione. Le piattaforme, passeranno da 90 a 2, i pozzi da 484 a 2. Per sparire completamente nel 2034.
L’estrazione. Le società petrolifere decidono il ritmo di estrazione. Possono estrarre il 3% all’anno per 50 anni o regolarsi in base al prezzo del petrolio ed estrarre quando è più conveniente. Se vince il Sì possono anche svuotare il giacimento o estrarre quanto più possibile nel tempo che gli resta. La quantità di idrocarburi è la stessa, cambia solo il tempo che si impiega a produrli.
Gli addetti. I numeri sono incerti e aggregano l’indotto: 5 mila prima e 13 mila poi per Assomineraria; 10 mila per Filctem Cgil (che ha poi ammesso che le stime sono scivolose). Sulle piattaforme interessate dal referendum, secondo Fiom Cgil, ci sono 100 lavoratori. Per Legambiente, indotto compreso, meno di 3 mila. Le attività sulle piattaforme sono gestite per lo più in remoto nella fase estrattiva. La manodopera serve soprattutto a costruirle e smontarle.
Licenziamenti? Se vince il Sì, le piattaforme ‘scadute’ dovranno essere dismesse. L’opera di bonifica costerà circa 800 milioni di euro e le imprese potranno riconvertire il capitale umano nello smantellamento e nel ripristino ambientale.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 17/04/2016
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