Impiego accessorio. Obbligo di comunicare l’utilizzo via sms un’ora prima per ridurre il nero. Ma il boom continuerà.
Dopo mesi di annunci, il Consiglio dei ministri ha approvato ieri una riforma della disciplina dei voucher, i buoni lavoro da 10 euro che ormai riguardano 1,4 milioni di persone. Un decreto legislativo che corregge quello del Jobs Act del giugno di un anno fa: la modifica prevede l’obbligo per le imprese che vogliono pagare un lavoratore in voucher di comunicare un’ora prima dell’utilizzo “alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione”.
Per gli imprenditori agricoli, il buono può essere utilizzato nei sette giorni seguenti la comunicazione, per tenere conto del rischio maltempo che può rendere impossibile, ad esempio, raccogliere l’uva all’orario previsto. L’azienda che viene colta in fallo, sorpresa cioè a impiegare un lavoratore senza averlo comunicato o in una fascia oraria diversa da quella prevista, rischia una sanzione tra i 400 e i 2.400 euro.
Secondo uno studio della Uil su dati Inps, nel 2015 soltanto il 76,5 per cento dei voucher comprati dai datori di lavoro sono poi stati incassati dal lavoratore. Il valore dei buoni “fantasma”, venduti e mai incassati, è rilevante: 271 milioni di euro. C’è una sola spiegazione per questo comportamento all’apparenza assurdo: i voucher, nati per offrire un’alternativa di pagamento al passaggio di contanti in nero, sono diventati nei primi sette anni del loro utilizzo un’assicurazione contro i controlli.
Cioè uno strumento per incentivare il lavoro nero. Un’impresa comprava i buoni lavoro e li teneva pronti in caso di controlli, un’ora regolare finiva per nasconderne molte altre non tracciate. La riforma dei voucher nel Jobs Act, un anno fa, prevedeva l’obbligo della comunicazione da parte dell’imprenditore (anche via sms) entro trenta giorni. Il tempo viene ridotto a un’ora soltanto di preavviso sull’utilizzo. “La misura che consente una piena tracciabilità dei voucher conferma il nostro impegno a combattere ogni forma di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro”, ha detto ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Dai vincoli sulle comunicazioni sono esclusi i committenti non imprenditori, come le famiglie che usano i voucher per pagare le baby sitter.
I sindacati sono contenti a metà. Il problema dell’abuso del voucher come copertura del lavoro nero era soltanto uno di quelli che hanno spinto la Cgil a chiederne la cancellazione via referendum. Nel 2008, i voucher sono nati per studenti e pensionati che arrotondavano con la vendemmia. Tre governi hanno ampliato sempre di più la possibilità di ricorso a questo strumento flessibile che non richiede neppure un contratto tra committente e lavoratore. A giugno scorso, sempre con il Jobs Act, il governo ha alzato da 5.000 a 7.000 euro netti la somma massima che il singolo lavoratore può incassare con i buoni. Equivalgono a circa 10.000 euro lordi, non è poco se pensiamo che per il fisco italiano la soglia che definisce gli incapienti, quelli che non pagano tasse perché guadagnano troppo poco, è fissata a 8.000 euro. L’età media dei “voucheristi” è passata da 59,8 anni del 2008 a 35,9 del 2015 segno che questo precariato estremo coinvolge anche persone nel pieno della loro vita lavorativa e non più soltanto ai margini. Il 3 per cento dei committenti, secondo uno studio di Inps e Veneto Lavoro, usa il 33 per cento dei voucher: questo si spiega soltanto se grandi catene di punti vendita (ristorazione, abbigliamento, turismo) hanno iniziato a fare un ricorso massiccio ai buoni al posto di altre forme contrattuali con più tutele. Guardando la distribuzione per settore, infatti, il 27 per cento dei voucher risulta utilizzato da alberghi e ristoranti, il 13 per cento nel commercio.
In Veneto, una delle Regioni che utilizza più voucher, la storia dei 39 mila lavoratori analizzati da Veneto Lavoro che hanno avuto un contratto con un’impresa che poi li ha anche pagati in voucher è questa: in metà dei casi i buoni sono stati usati come pagamento per una sorta di periodo di prova (8.000 hanno poi avuto un tempo indeterminato, altri 8.000 un tempo determinato, 3.000 un lavoro intermittente o un tirocinio). In 13.000 casi c’è stato lo scivolamento nella scala della precarietà: il voucher è arrivato dopo un contratto a termine (per 6.000 persone), dopo il licenziamento da un contratto a tempo indeterminato (2.000), dopo un tempo intermittente (2.500) o dopo un tirocinio (1.000). E su 170.000 persone pagate in voucher in Veneto, soltanto 51.000 stavano svolgendo un’attività davvero accessoria.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 11/06/2016.
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