Il governo ha celebrato la svolta, ma le nuove regole lasciano spazio alla corruzione. E i poteri dell’Anac di Cantone sono ancora da definire con 50 provvedimenti.
Il giudizio del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piecamillo Davigo, è stato così drastico che richiede qualche ulteriore spiegazione: “Il codice degli appalti? Tutta roba che non serve a niente”. Per il premier Matteo Renzi il decreto legislativo del 16 aprile 2016 è “un passo avanti”, anche se non è una semplificazione drastica della normativa, con i suoi 220 articoli, 1.354 commi 743 lettere e 32 sottopunti.
Alberto Vannucci, professore di Scienza politica a Pisa, è uno dei massimi esperti di corruzione e condivide in parte lo scetticismo di Davigo: “Negli appalti pubblici la corruzione può esserci prima dell’aggiudicazione, durante la gara o dopo, nell’esecuzione. In questi anni le norme sono cambiate tante volte, ma i protagonisti di questa corruzione sistemica hanno sempre trovato il modo di addarsi alle nuove regole per proseguire i loro affari”.
Inutile pensare quindi che basti cambiare la legge per sradicare la corruzione. Quanto all’Anac, l’autorità nazionale anti-corruzione, “con tutta la stima per il presidente Raffaele Cantone, va ricordato che si regge sul corpo amministrativo della vecchia Avcp, l’autorità di vigilanza sui contratti pubblici che negli ultimi 20 anni non ha mai segnalato un solo caso di corruzione”.
Avvertenze che valgono per qualunque intervento in materia. Poi ci sono i problemi specifici: “Il cavallo di battaglia è l’ampliamento del criterio della cosiddetta offerta economicamente più vantaggiosa (rapporto qualità/prezzo), con simmetrica riduzione degli spazi per il massimo ribasso, ben oltre le indicazioni delle direttive Ue recepite col codice”, osserva su lavoce.info Luigi Olivieri, dirigente pubblico a Verona. Il massimo ribasso è da sempre criticato perché usare il prezzo come unico criterio per aggiudicare un appalto significa creare le condizioni perché le imprese che violano le regole (evadendo le tasse, usando lavoratori irregolari, riciclando denaro) possano battere quelle che invece le rispettano. Spesso chi vince a prezzi bassi poi, appena può, gonfia i costi in corso d’opera per rifarsi.
L’articolo 95 del codice degli appalti stabilisce i “criteri di aggiudicazione”. E per tutti i lavori sotto il milione di euro si può continuare a utilizzare la regola del “minor prezzo”, cioè del massimo ribasso e anche per “i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato”. Quasi l’80 per cento dei contratti seguiranno quindi le vecchie regole. Il nuovo metodo della “offerta economicamente più vantaggiosa” prevede “criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto”.
Questi criteri oggettivi, in realtà, possono però offrire altre opportunità di corruzione: “Ci sono dei bandi che non si basano sul prezzo, ma solo sulla qualità, che sembrano scritti apposta per alcune imprese. Basta assegnare punteggi in base all’entità del fatturato o all’esperienza, lo si vede per esempio nel settore della sanità”, spiega Francesco Bruno, avvocato esperto di contratti pubblici.
Il massimo ribasso almeno assicurava concorrenza, ma bisognava fissare bene gli altri parametri del contratto. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa lascia più spazio alle valutazioni della stazione appaltante.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 12/06/2016.
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