Juncker e Hollande mettono fretta a Londra: via subito prima che altri la seguano.
Le pratiche per la separazione sono avviate: “Non sarà divorzio consensuale, ma non è stata neppure una grande storia d’amore”, dice il presidente della Commissione Jean Claude Juncker. Nel secondo giorno dell’Europa a 27, governi e istituzioni europee cercano di ottenere due risultati opposti. Primo: accelerare l’uscita della Gran Bretagna, forzando il premier dimissionario David Cameron ad attivare subito l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che regola l’uscita. Solo un negoziato rapido che dimostri la compattezza e l’intransigenza di quel che resta dell’Ue può scoraggiare i tanti partiti che vogliono imitare i conservatori inglesi e andare al voto sull’appartenenza all’Unione.
Secondo obiettivo, abbastanza incompatibile con il primo: tenere la Gran Bretagna più vicina possibile, nel cerchio ristretto dei Paesi non-membri. Anche se scissionista, è pur sempre il più grande centro finanziario del continente e ha un peso diplomatico in tutte le aree di crisi dove si muove l’Ue all’esterno dei propri confini È perfino cominciato un dibattito, per quanto incredibile possa suonare, sull’opportunità che la Gran Bretagna assuma la presidenza di turno dell’Unione europea nella seconda metà del 2017. Se Londra non rinuncia formalmente e se per allora non avrà chiuso i negoziati per l’addio – cosa improbabile – si arriverebbe al paradosso di una Ue guidata da un Paese sulla via dell’addio.
Finora l’unica conseguenza concreta della Brexit sono le dimissioni del commissario inglese ai servizi finanziari Jonathan Hill, “lo avevo nominato come segnale della mia fiducia nella permanenza nel Regno Unito”, spiega Juncker che ha anche provato a convincerlo a restare, “lo considero un vero europeo, non soltanto il commissario inglese”. Juncker mette fretta alla Gran Bretagna: la linea di Cameron è inaccettabile, non si possono perdere tre mesi per lasciare al prossimo premier inglese la responsabilità di attivare i negoziati con l’articolo 50. Anche la cancelliera Angela Merkel dice che il processo di separazione “non può essere infinito, ma non farò pressione per un abbandono immediato”. La Merkel sta provando a rafforzare la propria leadership su tutto il resto dell’Unione, invece che cedere alle pressioni degli altri Paesi fondatori – tra cui l’Italia – che vorrebbero cogliere l’occasione per riproporre un direttorio di crisi al centro dell’Unione. E ridurre così il peso della Germania.
Tra chi ha più fretta c’è François Hollande: il presidente francese, socialista, ha incontrato i suoi sfidanti delle prossime elezioni, Nicolas Sarkozy e Marine Le Pen. Se le Presidenziali 2017 diventano un voto pro o contro l’Europa, vista la scarsa popolarità di Hollande, la permanenza stessa della Francia potrebbe essere a rischio. La Le Pen ne è ben consapevole e ha spiegato al presidente: “È chiaro che qualcuno vuole che il divorzio dalla Gran Bretagna sia il più doloroso possibile per evitare che altri seguano la stessa strada”, ha detto la leader del Front National dopo l’incontro con Hollande. Anche Sarkozy, ex presidente oggi leader dei Repubblicani, non ha escluso l’ipotesi di un referendum sul progetto europeo.
Dopo gli euroscettici olandesi, anche quelli della Slovacchia vogliono provare ad avere il loro referendum per la Slovexit: servono 350 mila firme su 5,5 milioni di abitanti, il risultato – a differenza che nel caso inglese – sarà vincolante per il governo. I leader europei proveranno a fermare questa ondata di euroscetticismo all’inizio della settimana, con il vertice di domani a Berlino tra Hollande, Merkel e il premier italiano Matteo Renzi. Poi, martedì, il Consiglio europeo d’estate dove i governi dei 27 cercheranno di produrre una reazione congiunta all’altezza della situazione.
Ieri si sono riuniti a Berlino i ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori dell’Ue, Italia inclusa, e nella dichiarazione conclusiva del vertice si percepisce il trauma della rottura inglese ma non risposte concrete: “Il malcontento su come funziona l’Ue è evidente in varie parti delle nostre società” e la questione sarà affrontata “molto seriamente”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 26/06/2016.
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