GERMINA, nel dopo Brexit, una stranissima e inutile polemica. Chi fa notare la netta prevalenza dei “remain” tra i più giovani e i più istruiti, la netta prevalenza dei “leave” tra i più anziani e i meno istruiti, viene accusato di classismo e di snobismo. Ma quella spaccatura anagrafica non è un’opinione. È un dato: piuttosto clamoroso. E prenderne atto non implica (se non in sparute minoranze in crisi di nervi, e irrilevanti) mettere in discussione la democrazia, né ripudiare l’unico vero “uno vale uno” davvero messo in campo nella storia umana, ovvero il suffragio universale.
Significa mettere a fuoco un enorme problema, quello dell’esclusione, fin qui mai affrontato dall’establishment europeo, altrimenti non ci sarebbe stata Brexit; significa prendere atto che la rivolta degli esclusi, nella sua forma nazional-populista, agisce a scapito degli inclusi, che non sono solo i fighetti con un master all’estero (ammesso e non concesso che a fare un master all’estero siano solo i fighetti), ma molti milioni di esseri umani; infine significa domandarsi se gli stessi esclusi, dopo la Brexit, lo saranno di più o di meno. Che cosa c’entri in tutto questo il classismo è incomprensibile. Più comprensibile, forse, la grande difficoltà degli euroscettici di accettare, dati alla mano, che la loro battaglia ha i capelli bianchi. Degni del massimo rispetto. Ma bianchi.
Da La Repubblica del 28/06/2016.
Rispondi