Da Fioroni agli alfaniani, fino a Re Giorgio: il mito non è più intoccabile.
Un tempo qui era (quasi) tutto Italicum. Quanto “semplificava”, la legge elettorale del rottamatore che non doveva chiedere mai. Come “smuoveva”. Un prodigio, anzi “una vittoria culturale”, “un importante raggiungimento”. Lo salmodiavano (quasi) tutti: la gran parte del Pd, gli alfaniani, gli alleati di multiforme natura, financo destrorsi ammutinati e schegge varie, in un Parlamento che è tutto un gruppuscolo.
Era tutto un applauso, attorno a Renzi e ai suoi. Alla Maria Elena Boschi che declamava: “La legge elettorale è il simbolo di un governo che fa sul serio le riforme”. Avveniva poco più di un anno fa. Poi sono comparse le nuvole, e alla fine è piombato il temporale delle Comunali. Tanto che ora il referendum di ottobre (o di novembre, chissà) pare una roulette russa.
Tale da spingere tantissimi a invocare modifiche all’Italicum. A consigliare, reclamare, minacciare. E pazienza per le parole di qualche tempo fa. Chi può mai ricordarsi, le sillabe per celebrare l’approvazione definitiva dell’Italicum, il 4 maggio 2015? In prima fila c’era l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il 6 maggio, due giorni dopo il lieto evento, rendeva noto: “L’Italicum? Credo che sia stato un raggiungimento importante. E poi non è nato in un mese, ha impiegato più di un anno, ci sono stati tanti confronti”. Bisognava portarlo a casa, così com’era. Re Giorgio lo aveva detto più volte anche prima del voto, per convincere i dissidenti dem. Ma la politica cambia in fretta, e Napolitano pure. Già nell’ottobre scorso, nel giorno del varo della riforma costituzionale in Senato, l’ex capo dello Stato virava suggerendo: “Bisogna dare attenzione alle preoccupazioni emerse sulla legislazione elettorale”. Era un consiglio, a Matteo: ignorato. E oggi chissà cosa potrebbe dire dritto per dritto, il Napolitano che seminava dubbi. La certezza sono le frasi di un tempo.
L’entusiasmo di tutta Area Popolare, degli alfaniani, quelli che ora più premono per cambiare. Ma allora, quel 4 maggio, parevano ubriachi di felicità. Basta rileggere la vicepresidente dei deputati, Dorina Bianchi: “Un risultato straordinario, si cambia verso con una nuova legge che garantisce stabilità e governabilità, condizioni fondamentali per tornare ad essere credibili sui mercati internazionali e affidabili per gli investitori”. Il deputato Dore Misuraca andava al cuore del problema: “ La sera delle elezioni i cittadini sapranno chi governerà l’Italia”. E Maurizio Sacconi quasi non si teneva: “Con questa legge l’Italia può uscire dalla condizione di democrazia bloccata. Tutta la destra dovrebbe votarla perché corrisponde alla sua cultura, alla domanda di una democrazia governante, decidente, anche attraverso il premierato forte”. E poi lui, il capo-cordata, Angelino Alfano: “Abbiamo approvato una buona legge che dà stabilità, rappresentanza e anche le preferenze”. Adesso Alfano chiede sobriamente il premio di coalizione (“ma noi non vogliamo mica smontare la legge”). Mentre sui giornali fioriscono i suoi aut-aut a Renzi: “Se non cambiano la norma è crisi di governo”. D’altronde “il tempo cambia molte cose nella vita” cantava Franco Battiato. Figurarsi le posizioni politiche. Prendete Giuseppe Fioroni, deputato e veterano dem. Il 2 maggio 2015, poco prima del parto, già alzava calici: “Questa legge elettorale rappresenta un cambiare pagina rispetto al degrado della democrazia italiana, ne migliora la qualità”.
In queste ore invece insiste: “È dall’inizio che affermo che l’Italicum vada cambiato, non lo faccio per convenienza ma per convinzione” (intervista al Sussidiario.net, venerdì scorso). Certo, c’è anche chi è rimasto a favore, ma non può dirlo. Caso esemplare, il costituzionalista nonché giudice della ConsultaAugusto Barbera. Nell’aprile del 2015, qualche mese prima che Matteo Renzi lo trasportasse tra gli ermellini che più pesano, lo scriveva in un saggio per il Mulino: “L’Italicum è il migliore dei sistemi possibili con questo Parlamento e con gli equilibri politici che esso esprime”. E il premio alla coalizione? “Darlo alla lista è una buona soluzione – ribatteva Barbera – che tiene conto di una critica martellante che negli anni scorsi veniva rivolta a tutti i sistemi maggioritari fin qui sperimentati in Italia: quella di dare vita a coalizioni rabberciate, idonee a vincere ma non in grado di governare”.
Da qui a qualche mese, il giudice Barbera dovrà esprimersi sulla costituzionalità dell’Italicum. E chissà come potrà mai esprimersi. Lo guardano attenti, dal Pd. E in prima fila c’è pure il vicesegretario Lorenzo Guerini. Quel fatale 4 maggio, in aula il dem scandiva così: “Oggi diamo valore alla nostra coerenza, così da dare risposte agli impegni presi”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 10/07/2016.
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