Al consiglio dei ministri degli Esteri di Bruxelles debutta Boris Johnson: “Vogliamo rimanere amici”.
LONDRA – L’Europa ammonisce la Turchia: se vuole entrare nella Ue, «niente pena di morte», «rispetto dello stato di diritto » e basta clima di «vendetta» per il tentato golpe militare. E’ l’avvertimento che i leader europei lanciano al presidente turco Erdogan dal Consiglio Affari Esteri di Bruxelles, a cui partecipa anche il segretario di Stato americano John Kerry. Un appuntamento che segna l’esordio di Boris Johnson, nuovo ministro degli Esteri britannico, sulla scena internazionale: come entrare nella tana del lupo, commentano i media, per il leader della campagna per Brexit nel referendum del mese scorso. «Uscire dalla Ue non significa lasciare l’Europa», dice diplomaticamente l’ex-sindaco di Londra, affermando che il suo paese vorrà continuare ad avere uno stretto rapporto con il continente a cui appartiene geograficamente, anche se i legami non saranno gli stessi.
Ma l’attualità fa retrocedere Brexit in seconda posizione: all’ordine del giorno della riunione dei ministri degli Esteri dei 28 (saranno ancora 28 finché Londra non uscirà formalmente dall’Unione Europea) c’è la Turchia. Un incontro preceduto da parole molto dure di Angela Merkel: «Nelle prime ore dopo il fallito colpo di stato abbiamo assistito a episodi rivoltanti di giustizia arbitraria e vendetta,questo non è accettabile», afferma la cancelliera a Berlino. Il capo della diplomazia americana Kerry invia a Erdogan un segnale analogo: «Essere membri della Nato richiede il rispetto della democrazia ». E sulla stessa linea Federica Mogherini, capo della diplomazia europea: «Spetta alla Turchia decidere se vuole restare candidata all’ingresso nella Ue». Precisa il comunicato del Consiglio Esteri: «Con la pena di morte, la Turchia non entra in Europa». La condanna del golpe è unanime, ma altrettanto – insomma – il messaggio per il governo turco: non usi il tentato colpo di stato militare per instaurare repressione e leggi speciali.
A margine delle discussioni su Ankara, l’altro argomento in agenda era il risultato del referendum britannico. Boris Johnson ha ripetuto che «Brexit vuol dire Brexit»: in dubbio c’è il “come” e il “quando” maturerà l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, non il “se”. Ma l’artefice del “divorzio” da Bruxelles, protagonista di tante gaffes in passato, ha usato la diplomazia dei sorrisi per garantire che Londra «non abbandonerà i suoi amici europei» .
Articolo intero su La Repubblica del 19/07/2016.
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