In pochi sono stati condannati per le violenze durante il vertice. Qualcuno ha chiesto scusa, altri si sono riciclati.
Super carriere o pensionati ecco la seconda vita dei poliziotti di Genova.
ROMA – Quindici anni sono molti. Nella vita di chiunque. Ma il sabba della notte della Diaz, lo scempio di Bolzaneto, la morte di Carlo Giuliani non hanno mai abbandonato né vittime, né carnefici del G8. È una ferita che non si è mai rimarginata, perché il tempo, da solo, non poteva essere, né è stato un unguento. Né potevano bastare le parole che il 6 luglio del 2012, dopo le condanne definitive della Cassazione per i fatti della “Diaz”, pronunciò l’allora capo della polizia, lo scomparso Antonio Manganelli.
«È il momento delle scuse — disse — Scuse dovute soprattutto ai cittadini che hanno subito danni. E anche a quelli che, avendo fiducia nella polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza».
La verità è che quei giorni di Genova cancellarono politicamente una generazione, lasciarono nella carne e nella testa delle vittime un marchio indelebile e, insieme, segnarono la fine della polizia di Gianni De Gennaro, anche se non di De Gennaro, prima capo dei Servizi, quindi al vertice di Finmeccanica. Ci sono voluti undici anni per arrivare a una verità giudiziaria definitiva, che ha risarcito materialmente le vittime ma che, come ogni accertamento giudiziario, ha fissato solo un frammento di ciò che accadde davvero in quei giorni. Soprattutto, che ha finito per moltiplicare rancori, inimicizie, dividendo i destini di chi per i fatti di Genova ha pagato e chi no. Di chi, a Genova, è rimasto schiacciato per sempre, magari continuando a dirsi innocente, e di chi ne è uscito indenne o comunque “recuperato”. Delle decine di agenti, funzionari, dirigenti della Polizia di Stato, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria, medici, coinvolti in quei giorni del luglio 2001, alcuni nomi pesavano più di altri. E il loro destino, oggi, aiuta a dire qualcosa, forse, di quel che accadde. Qualcosa che negli atti giudiziari non c’è e che nessun Parlamento ha mai avuto la voglia o il coraggio di cercare.
Francesco Gratteri, nel 2001 capo dello Sco e più alto in grado dei poliziotti che pagarono per la “Diaz”, si dimise dalla polizia un minuto dopo la sentenza di Cassazione. Condannato per un reato infamante come quello di aver precostituito le false prove (il ritrovamento delle bottiglie molotov alla Diaz) che avrebbero dovuto giustificare l’irruzione notturna e l’arresto di innocenti, non ha mai smesso di dichiararsi innocente. Ma — come ebbe a dire di fronte al Tribunale di sorveglianza di Genova — non ha mai voluto barattare la sua dignità. Ha scontato un anno di arresti domiciliari. Non ha chiesto, né cercato lavoro. Non ha scritto libri, né dato interviste. Vive della sua pensione. Ha deciso che per lui parli meglio il silenzio. È andata diversamente per il suo vice di allora, Gilberto Caldarozzi. Dopo aver lasciato la polizia e scontato la condanna (anche per lui un anno di arresti domiciliari) è stato chiamato da Gianni De Gennaro che lo ha voluto con lui a Finmeccanica. Dei funzionari delle squadre mobili aggregati allo Sco che quella notte erano alla “Diaz”, Filippo Ferri è oggi capo della sicurezza del Milan calcio, Fabio Ciccimarra, interdetto dalla polizia, non ha un’occupazione stabile, Nando Dominici (ex capo della Mobile di Genova) è in pensione, Salvatore Gava ha trovato lavoro in banca. Mentre il destino di Massimiliano Di Bernardini, l’ispettore dello Sco che innescò la decisione di irrompere alla “Diaz” (riferì nel pomeriggio del 21 luglio di una sassaiola di cui era stato bersaglio al momento del passaggio davanti alla scuola) lo costringe, da 15 anni, su una sedia a rotelle. Poco dopo la conclusione del G8 ebbe infatti un gravissimo incidente stradale. Così come, dopo il G8, Arnaldo La Barbera, all’epoca direttore dell’Ucigos, la Polizia di prevenzione, si ammalò di un male che lo avrebbe portato via in poco tempo. E’ ancora in polizia, invece, Pietro Troiani, l’agente che portò le bottiglie molotov alla “Diaz”. E come lui Massimo Mazzoni e Alessandro Perugini, oggi primo dirigente e allora vicequestore aggiunto della Digos di Genova immortalato dalle immagini televisive nell’atto di colpire alla testa con un calcio Marco Mattana. Mentre sono in pensione l’ex capo della digos Spartaco Mortola e Giovanni Luperi, allora dirigente dell’Ucigos e successivamente dirigente dei Servizi.
Il comandante degli uomini del VII Nucleo, lo speciale reparto celere che fece irruzione nella Diaz, Vincenzo Canterini divide la sua vita di pensionato tra santo Domingo e Firenze. Il suo vice, Michelangelo Fournier, il funzionario che ordinò ai suoi uomini di uscire dalla scuola quando realizzò cosa stava accadendo e che denunciò quello che era accaduto usando le parole di Ferruccio Parri di fronte allo spettacolo di piazzale Loreto («È stata una macelleria messicana»), è alla scuola alpina di Moena. Con lo stesso grado che aveva 15 anni fa. Degli imputati appartenenti a quel reparto, sono rimasti in polizia (e con altri incarichi) i soli Fabrizio Basili, Emiliano Zaccaria, Fabrizio Ledoti e Massimo Nucera. Gli altri (Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Vincenzo Compagnone) sono in pensione.
Mario Placanica, il carabiniere ausiliario dalla cui pistola di ordinanza furono esplosi i colpi che uccisero Carlo Giuliani, ha oggi 36 anni. È stato congedato dall’Arma nel 2005 e, da allora, è disoccupato. Nel marzo scorso, sul suo profilo Facebook, ha per l’ennesima volta manifestato l’intenzione di togliersi la vita. «Non riesco più ad avere un finanziamento. Oggi l’ennesima porta chiusa. Non ne posso più… addio». In questi giorni, e come accade ad ogni anniversario del G8, sulla sua pagina Fb passa il tempo a rispondere a chi lo aggredisce ricordandogli di essere «un assassino».
Articolo intero su La Repubblica del 21/07/2016.
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Sono stato colpito direttamente,perché ingiustamente come si è visto dopo i fatti di Genova nelle varie trasmissioni hanno fa rito e massacrato mio figlio all’Interno di Bolzaneto. Una notte da incubo passata davanti alle carceri di Alessandria per aspettare la decisione dei GIP. Il danno fisico e psicologico procuratogli non gli è mai stato risarcito. Sono segni che nella vita ti rimangono .