L’operazione – Il fondo Atlante userà le ultime risorse, 1,6 miliardi, per sgravare la banca da 27,7 miliardi di crediti a rischio. Resta il nodo della garanzia pubblica
La vigilanza Bce ha approvato ieri il piano di salvataggio presentato dal Monte dei Paschi di Siena. È una vittoria per l’amministratore delegato Fabrizio Viola e per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che lo ha seguito nelle scorse settimane sul percorso scelto. Ma ci vorrà ancora tempo per capire se il successo di ieri dovrà essere archiviato come definitivo o solo ricordato come provvisorio.
Gravano infatti sulla vicenda alcuni punti interrogativi. Il più significativo riguarda il finanziamento che il fondo Atlante Due sta contrattando in queste ore con il pool di banche internazionali guidate da Jp Morgan e Mediobanca, le stesse che dovranno garantire l’aumento di capitale per Mps.
Il secondo interrogativo riguarda la curiosa vicenda della proposta “alternativa” presentata fuori tempo massimo da Corrado Passera insieme al colosso bancario svizzero Ubs. Ieri mattina l’ex ministro è andato a Siena per partecipare ai lavori del cda del Montepaschi, su invito del presidente Massimo Tononi. Ma il consiglio ha votato all’unanimità (con il voto dello stesso Tononi) di non farlo neppure entrare nella sala. C’è da capire se si sia trattato solo di una maldestra commedia degli equivoci o se dietro la brutta figura generale si celi una battaglia ancora in corso tra le grandi banche internazionali per infilarsi in quello che, a certe condizioni, può diventare un lucrosissimo affare. Non è un mistero che la Jp Morgan, guidata in Italia dall’ex ministro Vittorio Grilli, punterebbe a fare il colpo grosso prendendosi le sofferenze da una parte e il controllo della banca risanata dall’altra.
Il piano approvato dalla Bce prevede che Mps si liberi di tutti i crediti in sofferenza, 27,7 miliardi di valore nominale pari a circa 10 miliardi al netto della svalutazioni già fatte. Il fondo Atlante Due compra tutto il pacchetto per 9,2 miliardi, riconoscendo alle sofferenze un valore del 33 per cento, del 50 per cento più alto di quello riconosciuto alle quattro banche capitanate da Etruria sottoposte a pseudo bail in nello scorso novembre. Il 33 per cento è un prezzo altissimo.
A quel punto Mps lancerà un aumento di capitale da 5 miliardi: un miliardo servirà a digerire la svalutazione delle sofferenze da 10 a 9 miliardi, un paio di miliardi serviranno a digerire la svalutazione degli altri crediti deteriorati (non in sofferenza) che varranno circa 17 miliardi lordi e 9 miliardi netti.
Eliminate le sofferenze e aumentata la copertura dei deteriorati, Viola si troverebbe, presumibilmente a inizio 2017, con una banca in grado di riprendere la marcia senza zavorre e di dare continuità all’incoraggiante risultato operativo della prima metà dell’anno: i risultati approvati ieri dal cda vedono l’utile netto semestrale a quota 302 milioni di euro.
Adesso però viene il bello: il piano va attuato. I 9,2 miliardi di sofferenze, a quanto comunicato ieri sera, sono divisi in tre tranche. Quelle più rischiose, dette in gergo junior rimarranno fuori da Mps ma in capo agli attuali azionisti, che così avranno la possibilità di guadagnarci se il recupero del credito sarà superiore al previsto. La tranche intermedia, detta mezzanine, sarà rilevata da Atlante Due a suo rischio e pericolo. La tranche dei crediti in sofferenza ma meglio assistiti da garanzie reali e quindi più pregiati, sarà finanziata dalle banche (ma ancora manca l’accordo definitivo), che accettano di pagare un prezzo alto (tra il 40 e il 50 per cento del nominale, contro il prezzo medio del 33 per cento calcolato sulle tre tanche) perché assistite dalla garanzia dello Stato su eventuali perdite. La garanzia statale sulle sofferenze senior è quella già contrattata da Padoan con Bruxelles per il meccanismo cosiddetto Gacs. Quindi non dovrebbero esserci discussioni sugli aiuti di Stato con la Commissione europea. Ma sempre di garanzia statale si tratta, cioè del rischio di accollare qualche perdita ai contribuenti. Ed è il punto che non piace al premier Matteo Renzi, che avrebbe preferito una soluzione veramente di mercato, cioè le sofferenze cedute a un prezzo basso (attorno al 20 per cento) con un altro tipo di garanzia, quella per le banche di guadagnare un sacco di soldi, come caldeggia Jp Morgan.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 30/07/2016.
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