
L’ex conduttore di Ballarò “rottamato”: “Renzi ha parlato e chi doveva capire ha capito. Come con B.”.
Luca Mazzà – ex vicedirettore di Rai3 – è scappato da Ballarò per sanzionare l’overdose di antirenzismo. Oggi Mazzà sarà nominato direttore del Tg3, mentre Ballarò non esiste più.
Massimo Giannini, cos’è accaduto?
Io faccio il giornalista, e metto in fila i fatti. Da un anno a questa parte il presidente del Consiglio e i suoi fedelissimi, nel partito e in Parlamento, hanno preso di mira il Tg3 e Ballarò. Un attacco continuo, spesso pretestuoso, quasi sistematico, soprattutto negli ultimi mesi. Ora la stagione televisiva è finita, e la Rai, dopo aver “rottamato” me, “rimuove” Bianca Berlinguer. In assenza di altre spiegazioni, un cittadino che paga il canone cosa deve pensare?
E lei cosa pensa?
Io penso quello che vedo. E quello che vedo, in assenza di altre spiegazioni “ufficiali” appunto, è che ancora una volta in Rai la politica detta legge. Questo mi dispiace, perché avevo preso per buona la promessa di Renzi, che dopo essere entrato nella stanza dei bottoni aveva detto “sbatteremo i partiti fuori dalla Rai”. Ma non mi sorprende, perché da troppo tempo i segnali che arrivavano dal Palazzo erano inequivocabili. Il copione è sempre lo stesso, e purtroppo ricorda quello già scritto ai tempi di Berlusconi.
Questa è una nuova versione dell’editto bulgaro?
Premesso che Renzi non è uguale a Berlusconi, perché non si porta dietro lo scandaloso macigno del conflitto di interessi, e che io non sono Santoro come la Berlinguer non è Biagi, oggi si è ripetuto lo stesso meccanismo. Allora bastò che il Cavaliere dicesse a Sofia che Santoro, Biagi e Luttazzi facevano un uso criminoso della tv, e dopo pochi mesi chi in Rai doveva capire capì. Oggi sono bastati un paio di attacchi di Renzi, e le bordate sistematiche del suo inner circle contro Ballarò e contro il Tg3, e chi doveva capire ha capito.
Con una sostanziale differenza: il ruolo di Rai3, un avamposto di sinistra che, per vent’anni, ha respinto l’assalto del Cavaliere. Adesso il dissenso è azzerato, vige il monocolore renziano.
Berlusconi, che era destra al cubo, ha occupato l’intero sistema televisivo per quasi un ventennio, ma non ha mai potuto violare la riserva indiana della sinistra televisiva, rinchiusa dentro Rai3. Oggi il quadro è cambiato, e il paradosso è che c’è una Rai1 governativa per definizione, una Rai2 solo formalmente di centrodestra, ma in questa fase di rito Nazareno, e una Rai3 sostanzialmente “normalizzata”. Dunque, con tutta la buona volontà, come fai a dar torto a Freccero, quando parla di “pensiero unico”?
L’editto bulgaro ha alimentato un movimento di protesta. Dove sono finiti gli intellettuali, le associazioni, i parlamentari che organizzavano i girotondi e denudavano il palazzo?
Questo sì, è deprimente. Io non cerco nessun martirio, e non salgo sulla pira dell’epurato. Ma vedo in giro uno sconfortante conformismo. Nessuno si indigna più per niente, e non parlo solo di questioni televisive. Istituzioni di garanzia, organi di informazione, fino ad arrivare alla famosa “società civile”. Tutto scorre, in un misto di assuefazione e rassegnazione.
Antonio Campo Dall’Orto e Monica Maggioni, i vertici di viale Mazzini, l’hanno delusa?
Non sono deluso, perché non avevo aspettative. Si ricorda Henry Miller in Tropico del cancro? Non ho soldi, non ho risorse, non ho speranze: sono l’uomo più felice del mondo. Sono convinto che chi oggi governa la Rai ha tutto il diritto di cambiare. Ma come ho detto a viale Mazzini qualche giorno fa, ha anche il dovere di spiegare il senso dei cambiamenti che fa.
C’è un modo?
Certo. Bisognerebbe spiegare perché s’è deciso di tenere l’attuale direttore del Tg1. E spiegare perché, invece, s’è deciso di sostituire Masi e la Berlinguer. Se sei servizio pubblico devi esserlo sempre, non solo quando pubblichi gli stipendi dei tuoi dirigenti. Anche in questi casi hai un dovere di trasparenza, a maggior ragione nei giorni in cui ai cittadini contribuenti arriva a casa il canone con la bolletta. Se non lo fai, l’opinione pubblica non potrà non pensare che le tue scelte siano orchestrate, come al solito, dalla politica e dal governo.
Come spiega e dunque motiva la promozione di Mazzà?
Gli auguro un buon lavoro. Ma anche qui basta ricordare i fatti, che voi stessi avete raccontato sul giornale di ieri.
E cosa dimostrano?
Il tratto di strada percorso assieme a Mazzà non è stato agevole. Io non ho mai voluto rinunciare a quello che ho sempre ritenuto dovesse essere il nostro ruolo: raccontare quello che accadeva realmente nel Paese, soprattutto sul fronte dell’economia, e che oggi è purtroppo sotto gli occhi di tutti, al di là della narrazione renziana. La Rai non è l’Eiar, la Rai deve informare. Il suo compito non è mandare a letto gli italiani più felici, come diceva Ettore Bernabei. Governo e maggioranza ci hanno attaccato per questo. Il premier ha detto che era meglio guardare le repliche di Rambo, piuttosto che Ballarò. Qualcuno nel Pd ha invocato il mio licenziamento. Io ho risposto in trasmissione, con i miei editoriali. Mazzà, subito dopo, ha chiesto di essere spostato a un altro programma. Risultato: oggi Ballarò non c’è più, e lui diventa direttore del Tg3. Ognuno tragga le sue conclusioni.
Ballarò meritava di vivere ancora o la formula era vintage?
Non sono l’ultimo giapponese che voleva proteggere un format che era già logoro quando lo lasciò Floris. Lo dissi subito a Daria Bignardi, quando ci siamo incontrati a pranzo la prima volta. Cambiamo tutto: il nome, la durata, la formula del programma.
Ha recepito i suoi consigli, però non tocca più a lei.
Ripeto: cambiare è un loro diritto. Purché si riconosca che Ballarò, anche in questi due anni, ha vinto la sfida, anche contro il suo competitore diretto, in termini di share e di numero di telespettatori.
La Rai è un’azienda costretta a subire la politica?
Nella migliore delle Italie possibili, ci sarebbe un solo modo per evitarlo: privatizzarla, quotandola in Borsa con un assetto da public company. Ma non accadrà mai. La politica non molla.
Questa disfida di viale Mazzini in che misura influenzerà l’esito del referendum?
Il referendum si è ormai trasformato in un’ordalia sul presidente del Consiglio. Renzi, come scrive Ilvo Diamanti, ha fatto un errore clamoroso che ormai non riesce più a rimediare: ha ri-politicizzato un referendum anti-politico. Il contenuto specifico della riforma – che io non apprezzo, per il combinato disposto con la legge elettorale – è diventato quasi secondario. Il voto sarà quindi sul governo renziano.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 04/08/2016.
L’ha ribloggato su BABAJI.