
Tra rimborsi elettorali e contributi ai gruppi in Parlamento sopravvive la metà della quota che le segreterie percepivano prima dell’entrata in vigore della legge Letta.
ROMA.
L’ora X del taglio del cordone ombelicale non è ancora scattata (nel 2017), che i partiti hanno già trovato nuovi canali, altre vie, per accedere comunque ai finanziamenti pubblici. Tutto legittimo e a norma di legge, come si dice in questi casi, ma la sostanza è che lo Stato non ha voltato del tutto le spalle alle tesorerie.
TAGLIO, NON ABOLIZIONE
Non vengono più erogati i 182 milioni distribuiti ancora nel 2011 a tutto l’arco costituzionale allora in Parlamento sotto forma di rimborsi elettorali. L’anno prossimo si finirà col consuntivo “zero” promesso dalla legge Letta proprio per i rimborsi. Ma i partiti riescono comunque a “salvare” oltre 90 milioni di euro. In un modo o nell’altro, verranno sborsati sotto altre voci e non ci saranno inversioni di rotta. Anzi, dopo i licenziamenti e le casse integrazioni dei dipendenti, le sedi dismesse, le campagna elettorali sempre più povere, i tesorieri dei partiti tornano a ragionare su una possibile modifica di quell’ultima e draconiana legge, figlia dei governi Monti-Letta. Del resto, sono tempi grami, in cui perfino Beppe Grillo sta sperimentando l’insufficienza delle forme di autofinanziamento e chiede disperato aiuto ai militanti per la festa di Palermo di settembre.
LE TRE SCIALUPPE
Dal dossier messo a punto dall’associazione “Openpolis”, dal significativo titolo “Sotto il materasso”, emerge un quadro di un certo interesse. Che per esempio fa emergere come ai vecchi canali di finanziamento se ne sono affiancati altri. Ora le scialuppe, preesistenti o di recente creazione, sono essenzialmente tre. Ci sono ancora per dodici mesi i 35,4 milioni di euro dei rimborsi elettorali (somma riferita al 2014 e diminuita del 52 per cento in questi due anni). Seconda, i 49,2 milioni di finanziamenti ai gruppi parlamentari (anche qui l’ammontare si riferisce al 2014), gruppi istituzionali che comunque ai partiti fanno sempre capo. Voce destinata a restare in vita. Quindi, i 9,1 milioni non direttamente erogati ai partiti ma alle tv e alle radio per ospitare gratuitamente esponenti di tutti i partiti (che quindi non devono sborsare nulla, paga direttamente lo Stato). È il costo, in quest’ultimo caso, della par condicio. E come per il Parlamento, si potrebbe dire uno dei costi della democrazia.
QUANTO PESA IL 2X1000
Meno assistenzialismo, più donazioni private, è la filosofia che ha ispirato la spending review. Il fatto è che i partiti, con l’eccezione del Pd, hanno mostrato scarsa attitudine al fundraising, dovendo fare i conti anche con il disamore degli italiani nei loro confronti. Ad ogni modo le donazioni con la formula del 2×1000 sono state disciplinate con tanto di agevolazioni. Che hanno però un costo per lo Stato. Quanto viene destinato a una sigla politica viene detratto dal fisco, un mancato gettito che è stato quantificato nel 2015 in 27,4 milioni di euro (dovrebbe ridursi a 15,6 milioni quest’anno).
BOOM DI DONAZIONI (PER IL PD)
Il sistema della donazione/detrazione inizia tuttavia a funzionare. Se è vero che si è passati documenta sempre “Openpolis” – dal flop del 2014 (con le donazioni ferme a 7,7 milioni) ai 9,6 milioni del 2015, fino a una previsione di quasi 28 milioni per l’anno in corso e il boom stimato per l’anno prossimo: 45 milioni. Unica anomalia del sistema, indipendente dalla volontà dei beneficiari, è la ripartizione delle donazioni stesse. L’anno scorso il 55,8 per cento della torta è andato al Pd. Poi l’11,5 alla Lega e la restante parte a tutti gli altri.
GLI ALTRI VANTAGGI
L’Iva agevolata al 4 per cento per le campagne elettorali è solo un’altra delle voci “minori” del meccanismo di aiuti di Stato che sopravviverà. E che si compone ad esempio anche degli 11,2 milioni destinati nell’ultimo anno all’integrazione salariale per i dipendenti dei partiti messi alla porta.
IL ROSSO DI “PARTITI SPA”
Le donazioni sono in crescita ma la “Partiti spa” resta in rosso. Non come due anni fa, quando il disavanzo di tutti i loro bilanci ammontava a 20,8 milioni. Nel 2015 è andata meglio e non di poco: 4,5 milioni di euro il totale.
Articolo intero su La Repubblica del 14/08/2016.
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