Roberto Perotti – L’ex commissario del governo Renzi denuncia il bluff sulle promesse di tagli.
Il governo Renzi non ha fatto alcun tipo di spending review, la spesa pubblica non è diminuita. Lo dice l’ex commissario alla spending review del governo Renzi. L’economista della Bocconi Roberto Perotti rompe un silenzio durato quasi un anno, dalle sue dimissioni il 6 novembre del 2015, e affida a Federico Fubini del Corriere della Sera il suo bilancio disastroso sull’attività di un governo con cui ha collaborato per un anno: “Ero stato chiamato, per ridurre la spesa pubblica. Mi sono reso conto che, per decisioni politiche che rispetto, è stato deciso di non ridurla seriamente”.
L’esecutivo vanta di aver ridotto la spesa pubblica di 25 miliardi rispetto al 2014, ma questa, secondo Perotti, è una affermazione “altamente ingannevole, nel senso che i capitoli che sono stati ridotti, se si mettono insieme, lo sono stati per circa 25 miliardi. Altri sono stati aumentati in maniera equivalente. Quindi, al netto, la spesa pubblica non è diminuita”.
L’analisi di Perotti è sostenuta dai numeri dell’ultimo Def, il Documento di economia e finanza approvato dal governo in aprile: il totale delle spese correnti dello Stato al netto degli interessi sul debito era di 671,9 miliardi nel 2014, ed era 691,2 nel 2016, è previsto a 701,5 miliardi nel 2016. La spesa per i consumi intermedi, in teoria uno dei bersagli della spending review, è passata da 129,1 miliardi ai 131,7 attesi per il 2016. Il successore di Perotti, il renzianissimo deputato Pd Yourm Gutgeld, ha molto diradato gli annunci e le promesse di grandi tagli.
Perotti, nell’intervista al Corriere, demolisce alcuni punti della recente politica economica del governo Renzi. Il bonus cultura ai 18enni presentato come una misura di prevenzione del terrorismo è una mossa “senza alcuna ratio economica o sociale”, la riforma Madia della Pubblica amministrazione comporta “il rischio concreto che porti a un passo indietro. Con l’abolizione delle fasce retributive dirigenziali, ci sarà una omogeneizzazione delle retribuzioni. Ma sarà inevitabilmente verso l’alto”.
E poi l’osservazione che ha il maggiore impatto politico, perché riguarda il referendum d’autunno sulla riforma costituzionale: non porterà i 500 milioni di risparmi annunciati dal governo Renzi. “La riforma riduce di un terzo le poltrone dei parlamentari, che sono una minima parte delle poltrone della politica. Nei 500 milioni, sono inclusi 350 milioni di risparmi dall’abolizione definitiva delle provincie che il referendum consentirebbe, che però sono già stati conteggiati nell’abolizione di fatto che è già in gran parte avvenuta. Secondo i miei calcoli il risparmio è dunque al massimo di 150 milioni, ma solo ammesso che il Senato faccia molto downsizing”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 05/09/2016.
Rispondi