A Palazzo Chigi valutano di allungare la data al 4 dicembre Il premier fissa al 13 ottobre la scadenza per la decisione. Ma si confonde.
Spostare la data del referendum più in là possibile: l’operazione a Palazzo Chigi è in atto. Per far dimenticare il fatto che Matteo Renzi aveva chiamato al plebiscito su di sé; per distanziarlo dal terremoto che ha colpito il Centro Italia; sperando di aver sistemato nel frattempo più sfollati possibile; per varare la Finanziaria, cercando di inserire misure popolari (il premier ha promesso un non specificato intervento sulla “povertà”, uno per alzare le pensioni minime e uno sulle partite Iva). E per contrattare con l’Europa.
La parola “dicembre” collegata al voto sulle riforme l’ha detta Maria Elena Boschi alla Festa dell’Unità di Torino, domenica sera. Poi, a chiarire la questione in maniera ufficiale è stato lo stesso premier: “Nei prossimi giorni, ascoltando i soggetti interessati, il Cdm fisserà la data”, ha detto dalla Cina, a margine del G20. “La data seguirà le disposizioni di legge, ma se dedicheremo al merito del referendum lo stesso tempo che dedichiamo alla personalizzazione avremo fatto un servizio al Paese”. Si rifugia nel politichese il premier, per occultare il fatto che non ha ancora deciso. Sul tavolo, ufficialmente, ballano ancora 3 date (20 e 27 novembre, 4 dicembre). Ma la tentazione è quella di allungare i tempi il più possibile. La mette così Massimo D’Alema, che ieri ha lanciato i suoi Comitati per il No: “Trovo sgradevole che il governo non definisca la data del referendum, dà la sensazione di una furbizia”. E rincara: “Si è cercato di spaventare i cittadini con scenari apocalittici, poi si è detto che non cambiava niente. Si è parlato di dimissioni e poi, visti i sondaggi, si è detto: no, no, resto. Un caos totale”.
Rivelatore del caos è anche l’errore che fa lo stesso premier ieri: per decidere “c’è tempo fino al 13 ottobre”, dice. Una scadenza nuova. Infatti, i tempi sono regolati dalla legge n. 352 del 1970. Secondo la quale dall’ordinanza della Cassazione che ammette la consultazione devono passare massimo 60 giorni per indire la data. Ora, tale ordinanza è dell’8 agosto. Quindi il governo avrebbe tempo fino al 7 ottobre: fa fede la “comunicazione” immediata al presidente della Repubblica, a quelli delle Camere, al capo del governo e al Presidente della Corte costituzionale e non la “notifica” ai richiedenti (per la quale ci sono 5 giorni di tempo). E a chi di dovere, la comunicazione è arrivata a stretto giro di posta. Poco cambia nella sostanza, a parte un’altra prova dell’umore di Renzi in proposito. Se fosse il 7 ottobre la scadenza per decidere, l’ultima domenica utile, considerando che la data va fissata tra i 50 e i 70 giorni, sarebbe l’11 dicembre. Al momento esclusa, per evitare la vicinanza eccessiva del Natale.
La scelta comunque è un azzardo: al Comitato del Sì sanno che i sondaggi sono troppo lontani nel tempo per essere considerati affidabili. Le rilevazioni fatte da Antonio Noto in questi giorni dicono che premier e governo hanno recuperato fiducia dopo il terremoto. Ma è la stessa che avevano perso con gli ultimi dati Istat.
Nella gestione del sisma il premier pare essere stato abbastanza convincente, ma nelle situazioni di crisi il terzo mese è quello della rabbia. Sarebbe novembre. Renzi, intanto, ha deciso di riprendere con l’attivismo. E ieri nella e-news ha annunciato un tour frenetico, “un viaggio” su Casa Italia, lavoro e referendum. Nelle prossime due settimane sarà in una serie di feste dell’Unità, visiterà scuole e cantieri, farà iniziative specifiche sul referendum.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 06/09/2016.
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