“Non ci sono soluzioni preconfezionate”, ammette la Protezione civile Ma c’è già l’appalto per le “casette”: anche coop rosse tra gli aggiudicatari.
La ricostruzione è peggio del terremoto”. Slogan drammatico. Lo abbiamo visto scritto sui muri sbrecciati di città e paesi rasi al suolo dai sismi degli ultimi anni da cittadini esasperati da ricostruzioni lente, imbroglione e farlocche. Irpinia, San Giuliano di Puglia, L’Aquila, solo per citare le delusioni più recenti. Ma ad Amatrice non sarà così, giurano Matteo Renzi e Vasco Errani, commissario governativo per la ricostruzione.
Insieme alle popolazioni martoriate dalle scosse, lo speriamo anche noi.
Recuperati i morti c’è da pensare ai vivi. La bella stagione è finita e in quei paesi inverno, pioggia e freddo arrivano presto, bisogna sgomberare le tendopoli, dare un tetto sicuro e alloggi caldi alla gente. Come? “Non ci saranno soluzioni preconfezionate, c’è ancora molto da chiarire rispetto ai danni e alle esigenze e sono ancora in corso le ricerche. Il percorso è lungo con fasi complesse e tutte con proprie insidie”.
Parole pronunciate ieri da Fabrizio Curcio, numero uno della Protezione civile. Dove andranno i terremotati? In casette di legno, o meglio confortevoli chalet, è la voce girata nei giorni scorsi. Corretta, in parte, da Curcio: “Non parlate di chalet, non saranno necessariamente in legno. Si tratterà di moduli abitativi coibentati e allacciati alle reti idriche, elettriche e del gas”.
Insomma, il destino dei 4695 terremotati attualmente ospitati nelle tendopoli è ancora incerto. L’unico dato sicuro è una gara del 9 aprile 2014 indetta dalla Consip per conto della Protezione civile (gestione Gabrielli) e chiusa il 5 agosto 2015. Obiettivo la costruzione di 18 mila moduli abitativi provvisori, spesa prevista 1,2miliardi di euro, costo medio a metro quadro per abitazione 1.350 euro.
A farla da padrone nell’assegnazione degli appalti il Cns, Consorzio nazionale di servizio della Lega Cooperative, balzato agli onori delle cronache su Mafia capitale per l’adesione delle coop di Salvatore Buzzi, più altre società indipendenti. Tra queste, una specializzata “nella realizzazione chiavi in mano di celle frigorifero e stabilimenti per l’industria alimentare”.
La gara c’è stata, le imprese vincitrici ci sono, ora si tratterà di scegliere il modello da adottare. Piccoli villaggi da rimuovere a ricostruzione conclusa (non meno di dieci anni, per il commissario straordinario Vasco Errani), o le terribili new town realizzate a L’Aquila? La gente di Amatrice e dei Comuni devastati dal sisma ha le idee chiare: le new town mai, non vogliono essere sradicati dai loro borghi, l’obiettivo è la ricostruzione dei paesi. Molto critico sulle imprese scelte dalla Protezione civile è l’architetto veneto Furio Barzon, direttore per l’Europa di Open Architecture collaborative: “La qualità della prefabbricazione proposta è disarmante, roba da anni Ottanta e buona oggi solo per le baracche di cantiere”. Staremo a vedere.
Intanto c’è da dire che la soluzione dei Map (Moduli abitativi provvisori), insieme ai Musp (Moduli a uso scolastico provvisorio), si è dimostrata un insuccesso nella gestione del dopo-terremoto de L’Aquila. Doveva essere una soluzione rapida e invece i ritardi accumulati furono tanti. Ad ammetterlo, anche in quei mesi di berlusconismo trionfante e di Protezione civile piegata agli interessi propagandistici del premier, lo stesso Guido Bertolaso. “Ci sono ritardi nella consegna a causa delle inadempienze delle ditte e di alcune amministrazioni comunali”.
Le inchieste giudiziarie sullo scandalo Case (il progetto new town) e sui Map (alcuni addirittura evacuati) si sono incaricati di dimostrare il fallimento di quella operazione. L’unica esperienza positiva, quella di Onna, dove il villaggio con le casette di legno e la scuola venne costruito in cinque mesi: a finanziarlo la Croce Rossa, a realizzarlo la Provincia autonoma di Trento.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 06/09/2016.
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