Il governo cerca nuove risorse dopo la frenata del Pil Sacrifici per regioni, stretta su acquisti, salvi i comuni.
La squadra dei tagliatori è prepotentemente ridiscesa in campo negli ultimi giorni sotto la pressione di Pier Carlo Padoan che da almeno una settimana sta conducendo un pressing per rispettare le indicazioni di Bruxelles all’insegna delle parole d’ordine di «frenata globale» dell’economia, revisione al ribasso delle stime di crescita, stop al taglio Irpef e alla ulteriore richiesta di flessibilità.
Palazzo Chigi: la spesa sanitaria rappresenta il 25 per cento di quella dello Stato centrale, non può restare fuori dalla revisione
La linea emersa dopo il bilaterale Moscovici- Padoan di sabato scorso a Bratislava ha segnato la svolta, ha fatto rientrare i tentativi di far prevalere lo spirito di Atene, dove si sono riuniti i paesi mediterranei, e ha condotto ad accantonare l’idea, pur coltivata all’interno del governo, di forzare il rapporto deficit-Pil del prossimo anno per portarlo verso il 2,4 per cento, in linea con quello del 2016 ma senza riduzioni sensibili.
Il risultato è che si dovranno ridurre le ambizioni di spesa per bonus e altre misure e puntare su una manovra più asciutta, forse più tradizionale, ma in grado di superare l’esame della Commissione (che ci ha già messo nella lista degli “attenzionati”) e dei mercati che non si sono dimenticati del nostro debito pubblico e che guardano al referendum. Del resto lo stesso Renzi ha apprezzato l’operazione-verità sulla crescita di Via Venti Settembre e ha sempre sottolineato che tutto deve avvenire nel rispetto delle regole di Bruxelles.
La conclusione è che il deficit-Pil supererà forse l’1,8 per cento previsto, e in qualche modo già approvato nel maggio scorso dagli organismi comunitari, e arriverà magari al 2 o poco più. La linea di difesa approntata da Via Venti Settembre resta comunque il deficit strutturale, quello che tiene conto della cattiva congiuntura, con l’obiettivo di mantenere un miglioramento di almeno lo 0,1 per cento del Pil senza mollare sul pareggio di bilancio al 2019.
Per fare questa operazione bisogna tagliare e la novità dell’ultima ora è che Palazzo Chigi ha deciso di chiedere alla ministra Beatrice Lorenzin, che nei giorni scorsi aveva già fatto un fuoco di sbarramento, 1-1,7 miliardi di sacrifici. In pratica il Fondo sanitario nazionale, oggi a quota 111 miliardi, rimarrebbe sostanzialmente stabile senza salire ai 113 miliardi previsti dall’ultimo Def quota che le Regioni avevano già reclamato lo scorso anno in attuazione delle precedenti intese.
La posizione di Palazzo Chigi è che la sanità rappresenta circa il 25 per cento della spesa centrale dello Stato (cioè 420 miliardi al netto dei trasferimenti e degli intessi) e che non può rimanere fuori dalla spending review. Naturalmente il fronte delle Regioni è pronto alla reazione, dopo il tentativo subito lo scorso anno di ridimensionare esami e accertamenti, e potrebbe ostacolare il via libera all’arrivo delle previste nuove prestazioni sanitarie aggiuntive (i Lea). Per addolcire il taglio la ministra Lorenzin chiede di mettere in campo una sorta di “compensazione” cui il Tesoro non si opporrebbe: una tassa di un centesimo a sigaretta per oltre 700 milioni che dovrebbe servire a recuperare i fondi per l’acquisto da parte del servizio sanitario dei costosi farmaci anti-tumorali.
Confermato lo stop alle addizionali Irpef e alle tasse locali. Risparmi dalla chiusura delle società partecipate
La partita della spending review non finisce qui. Un altro miliardo dovrebbe venire dall’intervento sulle spese delle Regioni mentre i Comuni sarebbero al riparo dai tagli: verrebbe confermato lo stop all’aumento delle addizionali Irpef e delle tasse locali ma si prevede lo sblocco della spesa degli «avanzi di bilancio» in funzione dell’intervento antisismico del progetto Casa Italia.
Articolo intero su La Repubblica del 15/09/2016.
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