Palazzo Chigi vuole impedire lo sciopero dei giornalisti, chiede di aspettare sul contratto e promette soldi.
Soltanto l’estate potrà arrendersi e congedarsi fra una settimana. Perché il governo preferisce sedare l’Italia, il clima (mediatico) e l’attività dell’esecutivo per non intaccare, neanche con un refolo, l’ordalia nazionale chiamata referendum costituzionale.
Così pure il frenetico ecosistema dell’informazione è obbligato a indugiare: gli strateghi di Palazzo Chigi – la struttura per l’Editoria guidata dal sottosegretario Luca Lotti – hanno intenzione di impedire uno sciopero dei giornalisti che attendono il rinnovo del contratto fra il sindacato (Fnsi) e gli editori (Fieg), un argomento centrale per la riunione dei comitati di redazione di mercoledì prossimo, il ventuno settembre. Quando l’estate finisce, per l’appunto.
Con i quotidiani e le televisioni in subbuglio e una categoria in rivolta, la campagna elettorale renziana – che sarà poderosa e verbosa – potrebbe riscuotere un impatto modesto. E poi non è opportuno ingaggiare un contenzioso mentre è in concorso l’esistenza del governo.
Palazzo Chigi dispone di validi strumenti – i soldi dei finanziamenti, soprattutto – per condizionare il mai idilliaco dialogo fra i sindacati che difendono i diritti (a volte anche gli antichi privilegi) e gli editori che, se non profitti, bramano risparmi. Il capitolo informazione coinvolge e travolge più negoziati e il governo batte il tempo e tiene la cassa: una revisione dell’istituto di previdenza dei giornalisti (Inpgi); il denaro per gli stati di crisi all’interno della riforma che adesso transita per il Senato e dovrà approdare alla Camera; la necessaria integrazione fra le agenzie con la fusione fra l’Ansa e l’Agi, quest’ultima di proprietà dell’azienda pubblica del petrolio Eni.
Il più volte annunciato e mai ratificato accordo fra Ansa e Agi è un’ipotesi apprezzata da Palazzo Chigi, che non può introdurre un modello interamente statale, fa sapere, ma si conferma l’acquirente principale dei servizi di agenzia. Con gli incastri che mancano, s’inserisce l’abile Pippo Marra, il patron di AdnKronos, che s’è offerto di partecipare al sodalizio: simpatica provocazione?
Un direttore di giornale, non proprio di opposizione, confida un timore: Palazzo Chigi potrebbe addirittura ridurre le risorse per i pensionamenti anticipati ai quotidiani ritenuti troppo ostili. Forse è un timore eccessivo, una gratuita malignità. Chissà. Ma l’epoca non è florida per i giornalisti e il governo è sempre più determinante e senz’altro più coeso del sindacato e degli editori.
Il gruppo Caltagirone ha lasciato la Fieg, il presidente Maurizio Costa non rappresenta Rcs con l’avvento in via Solferino di Urbano Cairo: in sostanza, l’interlocutore è debole. Il testo di legge sull’editoria – creatura di Lotti in gestazione – accoglie e respinge attraverso gli emendamenti le proposte che possono rianimare o debilitare l’ecosistema dell’informazione, ma è prezioso anche per drenare un po’ di consenso e rimediare – l’efficacia è da verificare – agli errori del passato: “Ho presentato una modifica (poi approvata, ndr) che estende agli amministratori Rai il tetto di 240mila euro per i dipendenti e consulenti del servizio pubblico.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 15/09/2016.
Rispondi