Deficit giù (non spinge il Pil), boom di mance scoordinate e coperte con sanatorie.
Noi, come gli altri media, parliamo in questi giorni della manovra d’autunno. Primo problema: non esiste, la stanno ancora scrivendo tra mille difficoltà al Tesoro. Di ieri è invece il cosiddetto Draft budgetary plan (Dpb), che il governo deve spedire a Bruxelles. Prima notazione: riporta numeri diversi dalla Nota di aggiornamento al Def appena approvata dal Parlamento, tanto è vero che l’Ufficio parlamentare di bilancio – una sorta di Autorità sui conti pubblici – aveva bocciato il Def e invece ha approvato il Dpb. In sostanza, l’esecutivo dice che a fine 2017 il deficit sarà al 2,3% e la crescita all’1%. Questo, ammesso che l’Ue approvi Piano e manovra, consente comunque di farsi una prima idea di cosa vuol fare Renzi.
Recessiva. La prossima manovra lo sarà, ma giusto un po’, secondo la particolare interpretazione dell’austerità di Renzi&C.: il deficit infatti dovrebbe scendere anche l’anno prossimo, dello 0,1% per la precisione, ammesso che quest’anno si fermi al 2,4%, cosa tutta da verificare. Come faccia una manovra che restringe il bilancio dello Stato ad avere un impatto positivo sul Pil dello 0,4% (più ricchezza per quasi 7 miliardi) è un mistero. Se si tiene conto, poi, che Renzi promette austerità per quasi 35 miliardi nei due anni successivi è difficile immaginare una crescita dell’1,2% tanto nel 2018 che nel 2019: tutti dovrebbero almeno ricordare quale fu “l’effetto Monti”.
Insultante/1. Pur di farsi autorizzare qualche decimale di deficit in più da Bruxelles (rispetto al piano lacrime e sangue verso il pareggio di bilancio concordato solo a maggio scorso), Renzi e Padoan hanno messo assieme un accrocchio da televenditori, proprio quella “finanza creativa” che l’opinione pubblica cosiddetta democratica rimproverava a Tremonti e Berlusconi. Un paio di condoni – anche se insistono a chiamarli in altri modi – che dovrebbero portare entrate una tantum non si capisce se per 4 o 6 miliardi: da un lato pur di raccattare soldi l’anno prossimo si potrà ripulire dietro modesto obolo (30-35%) persino le somme detenute illegalmente in contanti, cioè quella cosa per cui il povero Fabrizio Corona sta in galera; dall’altro si procede all’ennesima rottamazione delle cartelle di Equitalia e il punto – visto che per la stragrande maggioranza si tratta di contribuenti che hanno già rateizzato il dovuto – è offrire uno sconto talmente enorme da spingere più gente possibile ad aderire (si parla del 50%).
Entrate incerte, come mostrano i condoni del passato, e che comportano un calo delle entrate nel medio periodo: semplicemente molte persone preferiscono non pagare più e vedere che succede. Pure gli 1,8 miliardi di incassi nel 2017 dalla “gara per le frequenze” dei gestori di telefonia sembrano leggermente ottimisti, soprattutto quanto a tempistica. Questo modo di procedere, in ogni caso, non è dignitoso: se il governo italiano ritiene di dover aumentare il deficit e non rispettare il Patto di Stabilità europeo dovrebbe dirlo chiaramente, non elemosinare qualche sconticino sulle spese per migranti o terremoto (peraltro solo quanto al deficit strutturale, cioè quello al netto del ciclo economico).
Insultante/2.Il modello con cui si programma la spesa pubblica non è quello dei piani articolati, ma quello del bonus: quello ai pensionati (la 14esima), quello per l’asilo o i figli o le forze dell’ordine e persino il voucher per la baby sitter. Interventi scoordinati che si sommano ad altri strumenti di sostegno al reddito: nel caso della povertà, per dire, ne esistono già sei che spesso si sovrappongono finendo per depotenziarsi l’un l’altro. Parecchio più consistenti, come al solito, i bonus per le imprese: super ammortamenti; sgravi sulle assunzioni, meno Ires, etc. Quel che disegnano Renzi e Padoan non è un progetto di Paese, ma “favori” concentrati su singole categorie di elettori o corpi intermedi utili alla vittoria referendaria: il problema è che i soldi sono pochi.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 19/10/2016.
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