Un mondo sta finendo, anzi è finito. Un mondo di diplomazie insincere ma molto formali, di guerre selvagge ma dichiarate da ambasciatori ad ambasciatori, di rivelazioni e menzogne, di onore e oltraggio ai valori, di crudeltà e donazione, di scoperta, di annuncio, di riconoscimento e poi di negazione dei diritti umani e civili. Ha avuto i suoi eroi e i suoi indimenticabili assassini, la sua distruzione, da Dresda a Hiroshima, la sua ricostruzione, dal Piano Marshall al Giappone, la sua grande rivoluzione comunista in Russia e Cina, e la sua crudele controrivoluzione, l’invasione comunista di Budapest e Praga, e Tien An Men. Ora quel mondo, che stava sbandando e celebrando ogni pochi anni l’uscita abile e coraggiosa da una crisi economica che ritornava subito, ma con una confortevole riserva di memorie per i giorni difficili, nel bene e nel male, è finito.
Il segnale (non la causa), come un colpo di gong così forte che spacca i timpani, è l’elezione di Donald Trump a presidente degli Usa. È l’inizio della prima presidenza privata alla testa del più grande Paese del mondo. D’ora in poi, come dimostra il prevalere del carattere familiare nel gruppo di controllo dell’impresa detta “presidenza”, il governo del Paese non è più la massima funzione pubblica del Paese. È conduzione privata, accorta, conveniente (nel senso della missione, non della convenienza di qualcuno) di una impresa che ha il suo capo, i suoi manager, i suoi azionisti (fuori dalla politica), i suoi tecnici, esperti e consiglieri, scelti dal settore privato per condurre il complesso dirigibile del governare pubblico dentro la logica, il senso, la moralità del privato. Si tratta di affermazioni realistiche che ormai sono libere dall’onda di emozioni che (caso raro in politica) l’annuncio della vittoria di Trump ha provocato negli Stati Uniti. Si è parlato di vendetta dell’uomo bianco, un rito di celebrazione contro il presidente nero in uscita, anche se gli otto anni di Obama erano stati saggi, fruttuosi e senza guerre. Bisognava però privarlo della celebrazione.
Si è proposta l’esistenza di un muro invisibile fra città e campagna (ovvero le aree toccate dal mare e la vasta America interna) come spiegazione dell’evento inatteso ed estraneo agli schermi dei sondaggi e desideroso di un’altra vendetta, quella contro il già visto e il già fatto dei politici tradizionali come la Clinton. Ci si è dovuti confrontare con la misteriosa e finora inspiegata intrusione del direttore dell’Fbi, la potente ed efficiente polizia federale Usa che, a pochi giorni dal voto, ha fatto sapere che uno dei due candidati era indagato per possibili atti “criminali” (negati due giorni dopo, ma dopo avere abbattuto i sondaggi).
Tutto ciò è comunque accaduto e ora importa decifrare ciò che è accaduto per ragioni che sapremo meglio in futuro. Un uomo non nuovo per l’opinione pubblica americana, anche la meno informata (una presenza quotidiana americana, familiare come quella di un personaggio di spettacolo di prima fila, noto per la ricchezza, non per l’autorevolezza) è stato messo da un voto prevalentemente povero e di classe media (ci dicono) a capo di ciò che sarà il primo governo privato del Paese. Il cambiamento è grandioso e finora non teorizzato da alcun politologo. Appartengono al mondo del privato molti fatti nuovi e persino interessanti e non antipatici. Trump lavora e riceve nelle sue residenze, spostandosi da una delle torri newyorchesi che porta il suo nome alla sua mansion da serial televisivo (Downton Abbey o Brideshead Revisited nei prati del New Jersey, accanto al suo campo da golf). Con una sola eccezione (Mit Romney) convoca solo suoi amici. E con la sola eccezione dei generali, che lui ama e ammira come altri super ricchi collezionano calciatori, e di Rudolph Giuliani (che lo ha sostenuto alla cieca fin dall’inizio) convoca solo miliardari. E solo a miliardari, rigorosamente conservatori, fino al limite estremo di voler liquidare le scuole pubbliche (nessuno scelto dalla politica), sono toccate finora le prime nomine o almeno annunci e preannunci.
In questa chiave va interpretato il presunto “isolazionismo” di Trump. Gli imprenditori, e soprattutto quelli miliardari come Trump, lo sono sempre perché non tollerano che altri gli occupino le caselle delle relazioni col mondo, meno che mai ambasciatori e burocrazia di governo. Ma non lo sono mai, come dimostra una delle prime telefonate di Trump al presidente argentino Macri, maxi-imprenditore e maxi-ricco di quel Paese.
“Isolazionismo” qui vuol dire liberarsi da quei legami che impegnano il futuro o lo lasciano intravedere, e dunque accordi preventivi e obbligati tipo patti e alleanze. Dunque la Nato gli appare come una forfora, ma questo non c’entra niente con il fare o non fare la guerra.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 27/11/2016.
Rispondi