Il leader di Forza Italia.
“Se ci sarà discontinuità non saremo noi a intralciare i lavori del nuovo esecutivo”.
ROMA – È il gran ritorno da (co)protagonista di Silvio Berlusconi al Colle, passerella d’onore e scena che il Cavaliere sfrutta da par suo, unico leader tra i big che va di persona dal capo dello Stato. Ma ancora una volta, ecco un leader pubblico e un trattativista privato, che invoca le urne davanti alle telecamere e promette “senso di responsabilità” a porte chiuse, durante i 25 minuti di colloquio, affiancato dai capigruppo Brunetta e Romani.
Berlusconi rompe subito le formalità e l’austerità della consultazione, ormai pensa di avere con Mattarella una cordialità collaudata, dopo il primo incontro di un mese fa. «Vede presidente, io ho una certa esperienza internazionale, ho curato di persona l’organizzazione dei G7 del 2001 a Genova e poi del 2009 all’Aquila.
Mi permetto di far notare che sono impegni gravosi, che occorre del tempo per organizzarli e un governo pienamente legittimo», dice alludendo al fatto che non si può pensare di fare campagna elettorale durante il G8 che l’Italia ospiterà a Taormina il 24 maggio. Magari per votare a giugno. E in autunno ci sarebbe la legge di stabilità, la presidenza italiana del Consiglio di sicurezza, insomma si potrebbe scavallare al 2018. Berlusconi ha la sua convenienza. Gli occorre tempo, lasciare scorrere almeno buona parte di questo 2017 in cui conta di ottenere la famosa sentenza della Corte europea che lo rimetta in gioco. Blindare una legge elettorale proporzionale che permetta a Forza Italia di dire bye-bye a Salvini e tornare in maggioranza dalla prossima legislatura.
Il ragionamento del leader al Quirinale fa il paio con quanto ha confidato a pranzo, nel vertice organizzato prima della consultazione per definire la strategia con Gianni Letta e Niccolò Ghedini, quindi coi due capigruppo e con Maurizio Gasparri (che piomba come sempre a Palazzo Grazioli nei momenti clou). «Per ora a noi non interessa governare, abbiamo solo da guadagnare da un Pd che si logori con un’altra esperienza di governo», è la linea dettata. E se si va a fine legislatura è anche meglio, con buona pace di Salvini e Meloni.
Per evitare altri guai con loro, nel colloquio col capo dello Stato il Cavaliere ha escluso qualsiasi coinvolgimento nelle larghe intese, ha detto no a un bis del «signor Renzi» (lo ha chiamato proprio così), ma al contempo ha promesso: qualora ci sarà «una discontinuità con il governo precedente, da parte nostra ci sarà fair play, non intralceremo ciò che sarà utile nell’interesse dell’Italia e lavoreremo da subito a una nuova legge elettorale». Poi la richiesta che strappa un sorriso all’austero Mattarella. «Se permette, presidente, le leggeremmo il comunicato che abbiamo preparato e che vorremmo declamare uscendo da questo incontro». E il presidente: «Non è una consuetudine, ma mi fa piacere e vi ringrazio, dato che non so mai quel che i miei interlocutori poi vanno a dichiarare fuori da qui», come dire: non sempre forse viene riportato fedelmente il contenuto della consultazione.
In quella nota c’è soprattutto l’impronta di Gianni Letta, la stesura risale al pranzo. Per andare al voto, si legge, occorrerà una riforma elettorale «condivisa» che garantisca «la corrispondenza tra la maggioranza parlamentare e la maggioranza popolare». Ovvero, un impianto proporzionale. Lega e Fdi sono già sul piede di guerra e invocano la piazza. La Meloni per il 22 gennaio, Salvini brucia le tappe: «Puzza di marcia, il quarto presidente non eletto, vergogna». Attacco preventivo al «fantasma di Gentiloni» e mobilitazione di «mille piazze nel fine settimane», con appuntamento il 17 a Palermo per romperà gli indugi su primarie e partito unico.
Articolo intero su La Repubblica del 11/12/2016.
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