Botte da orbi – L’ex procuratore capo e la battaglia contro il suo aggiunto Il ruolo del presidente emerito della Repubblica.
Mai colpo di scena fu più prevedibile: Giuseppe Sala è indagato. Per il più grosso degli appalti Expo, quello della “piastra” su cui è stata costruita tutta l’esposizione. Colpo di scena, perché riapre i giochi che la Procura di Milano voleva chiudere e provoca un terremoto politico, con la strana “autosospensione” del sindaco di Milano. Prevedibile, perché tutto era già stato scritto. In una indagine giudiziaria che ora è esplosa in uno scontro di fatto tra Procura di Milano e Procura generale, dopo essere stata azzoppata, nel 2014, da un altro scontro, interno alla Procura.
Protagonisti e interpreti: il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, ma anche il capo dell’antimafia milanese Ilda Boccassini, che si sono rincorsi e ingarbugliati nelle indagini su Expo. Con sullo sfondo la politica: l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, che sosteneva Sala nella corsa contro il tempo per aprire l’esposizione, ma ancor più l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, in costante e diretto contatto con il procuratore Bruti. Dopo due anni buttati e malgrado i poteri speciali concessi al commissario straordinario Sala, Expo rischiava di non aprire i cancelli, il 1° maggio 2015. Ecco dunque gli aggiustamenti, le regole forzate, le norme aggirate.
Questa brutta storia inizia nel 2014, quando a indagare su Expo e dintorni scendono in campo due squadre della Procura che non si parlano tra loro: quella anticorruzione di Alfredo Robledo e quella antimafia di Ilda Boccassini. La prima riesce ad arrestare Antonio Rognoni, il formigoniano capo di Infrastrutture lombarde che ha le chiavi degli appalti e dei cantieri di Expo. Ma l’indagine mediaticamente più clamorosa, quella sulla “cupola degli appalti” di Gianstefano Frigerio, Primo Greganti e Angelo Paris, è condotta da Boccassini. Il capo, Bruti Liberati, che dovrebbe coordinare ed evitare sovrapposizioni, si schiera invece con la squadra Boccassini, lasciata in campo anche se di mafia nella sua indagine non c’è traccia. Cominciano così rincorse e contese che da un lato danneggiano le indagini, dall’altro creano una frattura tra Bruti e Robledo che in pochi mesi diventa insanabile. Il procuratore nel giugno 2014 costituisce l’Area Omogenea Expo, di cui assume personalmente il comando, a cui vuole siano assegnate tutte le indagini sull’esposizione. E ordina a Robledo di non partecipare a due interrogatori a Rognoni, il 19 e il 20 giugno. La legittimità dell’Area Omogenea viene messa in discussione dal Consiglio giudiziario (una articolazione locale del Csm). Bruti reagisce togliendo a Robledo la guida del Dipartimento anticorruzione. Il Consiglio giudiziario boccia la decisione, sostenendo che è una scelta apparentemente organizzativa “utilizzata per risolvere in modo improprio un conflitto”. Ma intanto le indagini sulla Piastra si impantanano. Rognoni, che stava per parlare, annusata l’aria si cuce la bocca. Poi, per altre vicende, Robledo viene allontanato da Milano e spedito a Torino. Scende in campo direttamente il presidente Napolitano, con una lettera inviata al vicepresidente del Csm Michele Vietti che spinge il Consiglio superiore della magistratura a cambiare le determinazioni già prese e a schierarsi decisamente con Bruti contro Robledo, che era ricorso al Csm. E scatta quella che qualcuno ha chiamato la “moratoria Expo”: la Procura smette di fatto d’indagare sull’esposizione, per lasciare che l’evento si svolga senza altri scandali. Alla fine, arriva il riconoscimento del presidente del Consiglio: “Ringrazio la Procura”, dichiara Renzi, “per aver gestito la vicenda con sensibilità istituzionale”. Che cosa sia la “sensibilità istituzionale”, per una Procura della Repubblica, non è chiarissimo, in un Paese in cui l’azione penale è obbligatoria.
Quando poi, nel 2016, la Procura chiede l’archiviazione per l’indagine sulla Piastra, le arrivano due sonori schiaffoni. Il primo dal giudice delle indagini preliminari, che si rifiuta di archiviare. Il secondo dalla Procura generale, che avoca l’indagine e manda il pg Felice Isnardi a sostituire i pm della Procura, a chiedere altri sei mesi di tempo e a iscrivere tra gli indagati anche Giuseppe Sala, nel frattempo diventato sindaco di Milano. Lui si difende dicendo di non aver fatto altro che accelerare le procedure per poter aprire i cancelli in tempo.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 17/12/2016.
L’ha ribloggato su ilgrandetsunami.