Appena sentiamo parlare di legge elettorale, noi e – immaginiamo – i lettori sprofondiamo in uno stato a metà fra il torpore e la catalessi. Ed è su questa comprensibile reazione dell’opinione pubblica che puntano lorsignori per prenderci per sfinimento, facendoci digerire le peggiori boiate: tipo il Porcellum e l’Italicum, ritagliati su misura per B. nel 2005 (per non far vincere Prodi) e da Renzi nel 2014 (per far vincere se stesso). Ora sappiamo bene qual è il problema: il Pd è passato dal 40,8% delle Europee al 30% degli attuali sondaggi e i 5Stelle dal 21 al 31%, dunque l’Italicum (mai usato) non serve più alla bisogna e va cestinato prim’ancora del verdetto della Consulta.
Che potrebbe pure non bocciare il ballottaggio fra le due liste più votate, cioè la clausola che due anni fa favoriva il Pd e ora avvantaggia i 5Stelle. Renzi, travestito da monaco Zen, ordina il ritorno al Mattarellum (si spera senza la truffa delle liste-civetta). Abbiamo più volte scritto che è una buona legge: consente ai cittadini di scegliersi i parlamentari, coniuga rappresentanza e governabilità e ci ha garantito nella prima fase della Seconda Repubblica quell’alternanza fra destra e sinistra che ci era negata nella Prima.
Ma non è per questo che Renzi la vuole. La sua speranza è che il ri-Mattarellum scongiuri la vittoria del M5S: il 75% dei parlamentari sarebbe scelto in collegi uninominali (dove in teoria sono avvantaggiati i partiti che candidano politici conosciuti, mentre i 5Stelle presentano quasi sempre facce ignote) e il 25% con le preferenze su liste proporzionali (ciascuna conta quanti voti prende). Ma quasi mai le leggi elettorali favoriscono chi le propugna: l’unica certezza, in questa materia, è l’eterogenesi dei fini. Fermo restando dunque che il Mattarellum è infinitamente meglio del Porcellum e dell’Italicum, e che basta una legge di una riga per riesumarlo dalla fossa dove fu sepolto nel 2005 e poi mandarci al più presto a votare, resta per lorsignori un piccolo adempimento: le scuse per il tempo che ci han fatto perdere al Parlamento e al Paese. Dal 2013, cioè da quando si cominciò a parlare di nuova legge elettorale, i partiti hanno proposto tutte quelle esistenti sull’orbe terracqueo, senza contare gli sforzi autoctoni di fantasia. Un tragicomico florilegio di saggi, sherpa, facilitatori, mediatori, tavoli, tavolini, comitati allargati o ristretti, bozze, lodi, ultimatum, penultimatum, appelli a fare presto, anzi subito, pardon subitissimo. Un irresistibile frullato di sistemi puri, spurii, stranieri, nostrani, misti, corretti con grappa, con seltz, con ghiaccio o senza.
Per la serie: “Famolo strano”. Bersani è per il doppio turno. Lega e centristi per il modello tedesco con sbarramento al 4%. Renzi parla di spagnolo. E pure il Pdl. E anche il solito Ceccanti (c’è sempre, Ceccanti), che oggi maledice la Spagna. Fioroni vuole il tedesco o il doppio turno francese. Violante lo spagnolo. Parte del Pd il Provincellum. Napolitano monita. L’Udc è per le preferenze. Pd per il premio di maggioranza. Anzi no, torniamo al proporzionale. Pardon, meglio l’uninominale con sbarramento e premio del 15%. Però B. chiede il proporzionale con sbarramento al 5%. E Fini l’uninominale anglosassone. Ma ecco Quagliariello col Quagliariellum, cui si oppone il duo Verdini-Migliavacca. Forse proporzionale col premio al 6%. Allora il Pd lancia il modello misto, Giuditta. Con premio di governabilità. Anzi bonus del 10%. O magari un mix di collegi e preferenze. Re Giorgio rimonita. Spunta il sistema greco-tedesco. Ma, sia chiaro, con listini bloccati. Prendere un modello straniero e copiarlo, manco a parlarne: siamo italiani, dunque creativi, facciamo da noi. Con una sola bussola: i sondaggi e le alleanze del momento. E un solo faro: la bottega.
Dopodiché arrivano Renzi & Boschi, seguiti a ruota da B. & Verdini, ed ecco pronto l’Italicum. Ma poi B. si sfila, Verdini invece no. Tre voti di fiducia. L’Italicum è legge, ma solo per la Camera: per il Senato si spera che i cittadini al referendum aboliscano le elezioni. Mattarella firma senza fiatare. “È la legge più bella d’Europa, ce la copieranno tutti”, garantisce Renzi. Infatti ora non la vuole più nemmeno lui. E Mattarella scopre che ne manca una per il Senato omogenea a quella della Camera: perbacco, che riflessi. Così si torna alla casella di partenza: il Mattarellum. Che pareva cosa fatta già il 20 maggio 2013, quando la Finocchiaro depositò in Senato la proposta Pd di abolire il Porcellum e ripristinare la legge precedente, in linea con la mozione di Giachetti che, dopo settimane di digiuno, aveva raccolto le firme pro Mattarellum di oltre 100 parlamentari (tutti del Pd, più il Pdl Martino). Ma Re Giorgio, appena rieletto per tradire gli elettori riesumando le larghe intese Pd-Centro-Pdl col governo Letta, non gradì. E convocò al Quirinale il ministro Quagliariello (Pdl) e i presidenti di commissione Sisto (Pdl) e Finocchiaro (Pd) per ordinare, non si sa bene a che titolo, un Porcellum ritoccato. E tutti sull’attenti. Il 29 maggio la mozione Giachetti andò al voto alla Camera. I 5Stelle e Sel annunciarono voto favorevole. Sembrava fatta, ma il Pdl minacciò di far saltare il governo. E Letta ordinò al Pd di dissociarsi dalla sua stessa mozione. Il capogruppo Speranza, la Finocchiaro e Franceschini obbedirono e chiesero a Giachetti di ritirarla.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 20/12/2016.
Abbiamo perso tre anni per colpa dei soliti maledetti pidioti. Vergogna, enorme vergogna pidiota!!!