Il presidente del Senato: “Si arrivi al 2018”. E i big del Pd annuiscono.
“Mi devo augurare che la legislatura duri fino al 2018 per approvare provvedimenti importanti”. Nero su bianco, con tanto di titolone in prima sul Corriere della Sera, Pietro Grasso, presidente del Senato, si prende l’onere (e di certo punta pure all’onore) di dire quello che ai piani alti della politica molti pensano, ma nessuno esplicita in maniera così chiara. Indicare la data di fine della legislatura non è compito della seconda carica dello Stato, ma Grasso si può rifugiare nel fatto che – non avendo un ruolo nello scioglimento delle Camere – esprime un’opinione.
Che non sia del tutto opportuna lo dicono le reazioni – tutte però non ufficiali – tra l’infastidito e il perplesso di molti (più sul metodo che sul merito, in verità).
Per motivare la necessità di arrivare a fine legislatura Grasso mette in mezzo pure il sisma: “Credo che i problemi del dopo-terremoto confermino l’esigenza di questo scorcio di legislatura per sbloccare una serie di misure, a partire dal riordino della Protezione civile”.
Finora, tutti avevano parlato ufficialmente della necessità di andare a votare con dei sistemi elettorali armonici (si aspetta la sentenza della Consulta sull’Italicum martedì), nessuno aveva prospettato l’arrivo al 2018 di un esecutivo quasi fotocopia di quello uscito di fatto sfiduciato dal voto del 4 dicembre. L’intervista è, peraltro, un durissimo atto d’accusa a Renzi, alla gestione del referendum, al modo di procedere dell’ex premier (responsabile per Grasso anche di aver perso tempo). E contemporaneamente è un gesto di fiducia nei confronti di Gentiloni (“deve ricucire il Paese”): “Credo che questo governo debba lavorare a prescindere dalla legge elettorale”. Così Grasso diventa il capofila del partito del non voto. Ma la realtà è che le truppe di quello schieramento sono già abbastanza nutrite. E ogni giorno si allargano un po’.
Forse un ruolo ce l’ha anche il fatto che circa 2/3 dei parlamentari, quelli che sono al primo giro in Parlamento, matureranno il vitalizio solo alla metà di settembre, ma comunque alle parole di Grasso non c’è quasi nessuna reazione contraria: né dalla maggioranza, né dall’opposizione. Da notare che Beppe Sala, sindaco di Milano voluto da Renzi, sottoscrive e allo stesso presidente del Senato arrivano svariati messaggi privati di politici che si dicono d’accordo, anche dalla maggioranza dem. Una certa agitazione si registra tra Quirinale, Palazzo Chigi e Nazareno. Tra i Democratici c’è chi è pronto a giurare che in realtà quella di Grasso sia una mossa ispirata da Sergio Mattarella. Interpretazione che il Colle respinge: la posizione ufficiale del presidente della Repubblica rimane immutata. La data del voto è secondaria, l’importante è che ci siano leggi elettorali omogenee.
Ovviamente il più irritato è proprio Renzi. È lui quello che sarebbe voluto tornare il prima possibile a Palazzo Chigi, è lui che vorrebbe votare subito. Con Grasso, peraltro, i rapporti sono stati sempre difficili e adesso il segretario del Pd legge quello del presidente del Senato come il tentativo di affondarlo. Il progetto “urne rapide” però si sta scontrando con l’opposizione di tutti i big del partito. Si va da chi la mette sulla necessità di portare a termine una serie di provvedimenti a chi ricorda che è importante fare le leggi elettorali ma anche riorganizzare il Pd in base al nuovo sistema di voto fino a chi, anche esplicitamente, ha bisogno di tempo per riorganizzarsi e sfidare il segretario.
Nota: se le elezioni sono nel 2018, prima c’è il congresso. Ed è quella l’occasione che molti aspettano. Fatto sta che – tolti gli ultras renziani – ad accarezzare l’idea di votare non prima di ottobre sono in molti, anche non ostili all’ex premier: da Dario Franceschini a Andrea Orlando, da Matteo Richetti a Graziano Delrio. Anche Maurizio Martina, fino a qualche settimana fa più vicino alle posizioni del leader dem, comincia a tentennare. E poi, contraria è tutta la minoranza, che è ufficialmente partita alla “ricerca del nuovo Prodi”. Renzi sa che il tempo gioca a suo sfavore, anche perché il governo Gentiloni, merito anche dei toni bassi e del fatto che il premier sta riaprendo il rapporto con molti emarginati dal segretario (vedi proprio Prodi), gode di un consenso inaspettato o quanto meno della non antipatia di molti.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 22/01/2017.
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