Otto anni dopo 23 colpevoli tra cui l’ex ad di Rti e 10 assolti. I parenti delle vittime: “Ora niente colpi di spugna”.
Dallo stridore del treno che deraglia alla campanella che in aula annuncia la sentenza per la strage di Viareggio, 33 morti: sono passati 2.770 giorni. Quasi otto anni. “Entra la corte”. Tra i parenti sospiri, mani che si stringono, abbracci, dita che martellano sulla sedia, occhi chiusi per non vedere. È il momento. Adesso. Mentre il giudice Gerardo Boragine comincia a leggere c’è un silenzio che sentiresti il respiro di ognuna delle trecento persone stipate nell’aula: “La Corte, in base all’articolo 533…”, l’avevano imparato a memoria tutti i parenti, significa condanna. Si alza un brusio.
E il giudice comincia il rosario dei nomi, ma tutti aspettano quello: Mauro Moretti, diventato simbolo di questo processo. Eccolo infine: “La Corte condanna Moretti Mauro ad anni sette di reclusione”. Poi ecco Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia, 7 anni e 6 mesi, mentre Michele Mario Elia è stato condannato a 7 anni e 6 mesi come ex ad di Rete ferroviaria italiana (Rfi). In tutto sono 23 condanne e 10 assoluzioni. Tra le società assolte Fs e Fs Logistica, condannate Rfi e Trenitalia.
Nella grande aula del centro fiere di Lucca, davanti ai maxi-schermi preparati nelle sale accanto, ci si guarda in faccia: i parenti delle vittime, ma anche gli avvocati degli imputati. Dopo 140 udienze – ogni volta le sedie del pubblico occupate dalle foto delle 32 vittime – per un attimo non si capisce chi abbia “vinto”: Moretti e i manager sono stati condannati, come chiedevano i pm, ma a sette anni di reclusione invece di sedici. Marco Piagentini, sopravvissuto alla tragedia dove perse la moglie e due dei tre figli, appena sentita la sentenza pare amaro: “Delusione? Certo, a caldo, condanne a 7 anni, che sono meno della metà delle richieste della Procura, lasciano spazio alla delusione e all’amarezza”. Daniela Rombi, vicepresidente dell’associazione “Il mondo che vorrei”, invece è più soddisfatta: “Per la prima volta il sistema ferroviario è stato condannato, quindi è stato riconosciuto che c’era un problema di sicurezza. Finora si erano sempre vantati di essere riusciti ad essere assolti o prosciolti in tutti i processi…”.
Ma con il passare dei minuti ci si convince che la sentenza forse “cambierà la giurisprudenza italiana”, come dice il pm Salvatore Giannino – con il procuratore Giuseppe Amodeo ha condotto le indagini – mentre spiega il senso di quelle frasi lette dal giudice, incomprensibili per i non addetti ai lavori: “Siamo soddisfattissimi. È una sentenza che cambia la giurisprudenza: vengono considerati responsabili anche gli amministratori delegati delle grandi aziende. Non ci si ferma all’ultimo anello nella catena delle responsabilità. Non c’è stato soltanto l’errore dell’operaio tedesco che ha riparato il carrello del treno. Tutto il sistema ha portato a questo, è un passo avanti fondamentale. Ma soprattutto si stabilisce che non si possono far prevalere i profitti sulla sicurezza. Noi avevamo impostato tutto il nostro lavoro su questo”.
Per quali accuse è stato condannato Mauro Moretti? “Non per il periodo in cui era amministratore delegato di Ferrovie dello Stato. Ma per gli anni precedenti, quando era alla guida di Rfi”, commenta l’avvocato del manager e delle Fs, Armando D’Apote. Anche questo, probabilmente, ha indotto i giudici a ridurre la pena. Il legale poi lancia un attacco ad alzo zero: “Rilevo come scandaloso l’esito del processo, frutto del populismo che trasuda dalla sentenza”.
Ma che cosa attende Moretti e altri imputati? Il pm Giannino è sereno: “Si arriverà alla Cassazione. Le quattro accuse – disastro, omicidio colposo, incendio e lesioni gravissime – sono state confermate. Per incendio e lesioni la prescrizione scatterà a febbraio, tra pochi giorni, ma per l’omicidio e il disastro c’è molto più tempo. Il processo farà tutto il suo corso”. Sarà comunque la prescrizione la prossima sfida. E non soltanto per Viareggio, dove i processi sembrano salvi. Lo spiega Silvano Falorni, 62 anni, che ha perso il fratello Andrea, quel motociclista che a Viareggio tutti chiamavano lo “Scarburato”: “In aula non ci sono soltanto le famiglie delle vittime di Viareggio. Ci sono anche i parenti dei morti dell’eternit, della Thyssen, della torre di controllo del porto di Genova, di San Giuliano di Puglia, della Moby Prince”. Ecco la novità: “Abbiamo formato una rete tra tutte le associazioni che cercano di stabilire la verità sulle stragi di nessuno, quelle dove si rischia di non trovare mai i responsabili. E l’obiettivo è proprio la prescrizione: evitare che i processi finiscano nel nulla, ottenere che siano cambiate le regole”. Loris Rispoli, presidente dell’associazione 140 che raccoglie i familiari della tragedia Moby Prince, spiega: “La vicenda Moby è prescritta. È inaccettabile. Per stragi come queste non ci si può arrendere alla prescrizione. Non si può punire solo chi ha commesso l’ultima di una lunga serie di azioni”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 01/02/2017.
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