“Scissione nel Pd gestita dall’ex premier, non scappi e mi sfidi alle primarie”.
Matteo Renzi arriva dopo la pubblicità, stavolta le differenze si notano: l’ultimo più ostinato venditore di promesse politiche a Che tempo che fa appare sottotono e confuso. Oscillante fra un desiderio di vendetta nei confronti di Massimo D’Alema e il timore che l’inchiesta con il papà Tiziano indagato possa danneggiare la campagna elettorale per le primarie. In poche parole: Renzi è dimesso.
Reduce da un viaggio negli Stati Uniti con l’amico (e imprenditore) Marco Carrai e con l’ispiratore (e scrittore) Giuliano da Empoli, il politico più “ex” d’Italia – ex presidente del Consiglio nonché ex segretario dem – innesca nel salotto di Fabio Fazio la propaganda per la sfida nel Pd contro Michele Emiliano e Andrea Orlando. Ma l’avversario è D’Alema: “Dispiace molto per la scissione, abbiamo fatto di tutto per evitare che chiunque se ne andasse, però era un disegno già fatto, ideato e prodotto da D’Alema”. Poi la provocazione: “Ho un messaggio: non andartene, non scappare, candidati alle primarie e vediamo chi ha più consenso e più voti, credo che fosse questo il metodo giusto”. Il fiorentino non fa battute sul destino del governo (abolito “Enrico stai sereno”), ma scarica l’agenda politica, anzi la scaglia su Gentiloni: “Le elezioni sono previste a febbraio del prossimo anno, se vorrà votare prima lo deciderà lui”.
E non considera, Renzi, che la fiducia all’esecutivo dipende dai parlamentari dem e sarà il Quirinale a sciogliere le Camere. L’ex segretario s’inceppa sui mesi dopo il referendum e i motivi del suo ritorno in politica, elogia l’esistenza che passa dal “tutto” al “niente”: “Possono chiedermi di dimettermi, di rinunciare alla poltrona, non di rinunciare a un ideale. Io ora riparto da zero e dalla forza delle idee”.
Per i feticisti del genere, c’è anche un rapido passaggio sull’argomento legge elettorale, sul maggioritario ormai lontano e il proporzionale incipiente: “Spero che il Parlamento faccia almeno una legge come il Mattarellum. Però io sono fuori. Da uomo forse più potente d’Italia ora sono privato cittadino”. “Che ha raccolto nel giro negli Stati Uniti?, gli domanda Fazio che lo chiama “presidente” perché presidenti si resta, spiega. Renzi non ha un programma, non una novità rispetto alle precedenti versioni, però fa un tentativo: “Io non sono per il reddito di cittadinanza, ma per il lavoro di cittadinanza. Noi dobbiamo trovare un paracadute per chi non ce la fa, per i più deboli, ma non possiamo dire reddito cittadinanza, che vuol dire ‘tranquillo ci pensa papì che è lo Stato’. L’Italia muore così”. Il rivale Orlando interviene subito da un convegno con una dichiarazione ai giornalisti: “Mi fa piacere che Renzi si ponga il problema del lavoro”.
Con leggerezza viene liquidata la contesa fra il Tesoro e l’Europa sui conti: “L’Italia non ha mai subito procedure di infrazione, spero e credo che il governo non debba mai fare procedure di infrazione. Sotto questo profilo è giusto che Padoan abbia tutte le rassicurazioni”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 27/02/2017.
Rispondi