Lingotto dem – L’ex segretario in nome del garantismo cita anche la sindaca Virginia Raggi, ma la parola “Consip” non viene mai pronunciata.
“Sto preparando il discorso di mercoledì, per difendermi in Senato”. Il Lingotto è finito, i militanti stanno andando via, il palco è vuoto e Luca Lotti nel backstage ha l’atteggiamento di chi sa che i prossimi non saranno giorni facili. Cardigan sportivo, occhiaie, sorriso sofferto. Mercoledì c’è la mozione di sfiducia, dopo che il ministro è stato indagato nell’ambito dell’inchiesta Consip. “Io non do pillolette”, dice lui alla richiesta di avere qualche anticipazione. Ma i suoi raccontano che sarà un discorso corposo, impegnativo, nel quale “il Lampadina” parlerà anche della “questione giustizia”.
Nel fortino renziano cominciano a dire che sono tranquilli, che l’inchiesta finirà in un nulla. Fatto sta che Lotti nella tre giorni torinese non si è fatto quasi vedere. Ma chiarisce: “Sono venuto oggi perché mia suocera è stata male, mi è saltato anche il battesimo di mia figlia”. A parlare del battesimo era stato lo stesso Renzi.
L’nchiesta Consip è stata il convitato di pietra. C’era Tommaso Nugnes, ma non ha parlato. C’era Stefano Graziano, che ha lanciato la proposta di secretare gli avvisi di garanzia. Ma gli interventi dal palco se ne sono tenuti il più lontano possibile. Lotti, comunque, ieri è arrivato e si è messo in prima fila. Durante il dibattito, in molti sono andati a stringergli la mano. Dopo si è intrattenuto con molti, da Francheschini a Bonifazi. Sul palco non ci è salito. Né per parlare, né alla fine, quando Renzi ha chiamato volontari e protagonisti. “Quando mai mi avete visto su un palco?”, dice lui. Poche battute, se ne va, da solo col suo staff.
Nell’intervento finale, Renzi non lo nomina. Questa volta sceglie di sposare i panni del garantista convinto, utilizzando la sindaca di Roma: “Un grande abbraccio di solidarietà a Virginia Raggi che è stata indagata, noi siamo al suo fianco perché il garantismo vale per tutti”. Scandisce: “Un cittadino è innocente fino a sentenza e questo sempre non a giorni alterni”. E poi provoca i Cinque stelle: “Dal Movimento in queste settimane sono state dette parole infami contro di noi. Rinunciate all’immunità e rispondete delle querele in tribunale”. Replica a stretto giro di posta di Luigi Di Maio: “Noi non abbiamo mai usato l’immunità. Voi avete problemi a farvi giudicare infatti state provando a imboscare intercettazioni e avvisi di garanzia”. La parola Consip Renzi, come venerdì, neanche la cita: ordine di scuderia, tenerla sotto silenzio il più possibile.
Il Lingotto finisce così, con un comizio dell’ex premier che dura solo 45 minuti scarsi. La sala è pienissima, al di là delle aspettative anche degli stessi supporter. Però, alla fine i problemi restano tutti. Sul palco salgono Matteo Richetti e Graziano Delrio. Ma anche Matteo Orfini che ribadisce il no all’alleanza con Ncd e Marco Minniti. E Piero Fassino. E Luigi Berlinguer. Renzi dà delle “macchiette” a quelli che cantano Bandiera rossa, ovvero gli scissionisti. E rivendica l’importanza della “comunità”, indica la nascita di una nuova leadership di quarantenni. Tanta sinistra è stata sul palco in questi giorni, ma l’ex premier non si risparmia la citazione di Marchionne.
Guardare al centro è inevitabile, dicono al quartier generale. Tommaso Nannicini, che nel suo intervento ha detto che “il jobs act è un cantiere” lavora a mettere insieme i contributi dei seminari. La mozione ci sarà mercoledì, ma l’ultima parola tocca ai candidati.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 13/03/2017.
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