La maggioranza, rafforzata dai verdiniani, respinge la mozione 5 Stelle contro il ministro indagato. E in Aula i dem mollano l’ad Consip Marroni.
“Formigoni”. “No”. Inizia la chiama ed è proprio lui, il Celeste, condannato solo un paio di mesi fa in primo grado per corruzione nella sanità milanese, il primo a dire no alla sfiducia. Il voto del Senato che salva Luca Lotti ha dei momenti talmente paradossali da risultare comici.
Ma in realtà c’è poco da ridere: “La situazione è molto pericolosa: la maggioranza di governo è sempre più debole, i 5Stelle non fanno un salto, ma si confermano un movimento di opposizione, che prenderà tantissimi voti, il centrodestra non si struttura”. A fine dibattito, Gaetano Quagliariello (Idea), il panorama lo disegna così. Il No alla sfiducia di Lotti di ieri “fotografa” un’estrema debolezza del sistema politico in genere e fotografa due dati politici: il rinnovato sostegno al braccio destro di Renzi di Ala e dunque dell’amico Denis Verdini; la scelta degli scissionisti, che decidono di non partecipare al voto. “Stiamo in maggioranza, ma ci stiamo con la nostra testa”, spiega il senatore Federico Fornaro. Significa che quello di Gentiloni da ora in poi sarà un percorso a ostacoli, nel quale nessun voto sarà scontato. In Senato senza di loro la maggioranza non c’è.
Quello di ieri non è solo il giorno in cui viene salvato Luca Lotti, ma anche quello dei distinguo, dei posizionamenti. Di un processo alla “toscanità” del renzismo, ma anche alla “strumentalizzazione” addebitata al M5s. Il giorno della chiara presa di distanza dall’ad di Consip.
Alla fine i numeri per Lotti sono migliori delle aspettative: 161 no, 52 sì, 2 astenuti. Votano per la sfiducia i Cinque Stelle e Sinistra italiana, votano no il Pd e Ala, escono dall’aula Forza Italia, i centristi di Idea e gli scissionisti di Mdp. E non ci sono i senatori a vita: Giorgio Napolitano, in primis.
Palazzo Madama, mentre dice sì a Lotti, dice no a Marroni. Il ministro dello Sport, infatti, negli 8 minuti del suo intervento, per la prima volta va all’attacco del manager Consip: “Io non ho mai passato informazioni riservate a Marroni. Sostenere il contrario significa incorrere in un reato di calunnia”. Ancora più esplicito il renzianissimo Andrea Marcucci, in uno degli interventi a sostegno (l’altro è quello del capogruppo dem, Luigi Zanda): “Lotti ha ricevuto un avviso di garanzia per rivelazione di segreto. È la sua parola contro quella di Luigi Marroni, un manager prestato alla politica, molto vicino al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi”. Il governatore, fino a un attimo prima di lasciare il Pd, più che un nemico per Renzi era un amico. In Aula c’è anche il ministro dell’Economia, Padoan: per il Pd e per il governo la posizione di Marroni pare ormai considerata insostenibile.
L’aula è stranamente composta anche rispetto ad altre performance del genere. “C’è un vero e proprio sistema Renzi – denuncia Paola Taverna (M5s) – in un Paese civile basterebbe a far cadere il governo, in Italia invece c’è la più classica manfrina politica”. Imbarazzanti gli interventi a favore. Parlano per Ala Ciro Falanga (“Io voterei no alla richiesta di sfiducia per chiunque abbia ricevuto un avviso di garanzia”) e D’Anna: (“Lotti è oggi oggetto di attenzioni solo perché è il braccio destro di Renzi”.) Appassionata Manuela Repetti: “Mi viene in mente la mozione di sfiducia a un ministro della Cultura per il crollo del muro di Pompei (il ministro era il “suo” Sandro Bondi, ndr). Questa mozione è una vergogna”. E Paolo Romani, che annuncia l’uscita dall’aula di Forza Italia (il vero “salvataggio”), ricorda “l’intreccio mediatico-giudiziario” che ha avuto come prima vittima Berlusconi. Andrea Augello (Idea), mentre annuncia l’uscita dall’aula, ironizza: “Ha già avuto una carriera che dovrebbe riempirla di soddisfazioni: è passato dagli scranni del consiglio comunale di Montelupo Fiorentino a fare il ministro”. Firenze entra pure nell’intervento di Maurizio Gasparri: “Siamo garantisti ma, amici miei, che siete arrivati da Firenze e dovevate rottamare, innovare, rivoluzionare, shakerare e avete il babbo, l’amico, il parente, il nominato…”. Mdp non vota la sfiducia, ma “distingue”. Maria Cecilia Guerra: “Non voteremo la mozione del M5S perché vuole associare alla sfiducia verso un ministro quella all’intero governo”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 16/03/2017.
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