La cacciata improvvisa e immotivata del capo dell’Fbi James Comey è come un colpo di Stato dentro un colpo di Stato. Il primo gesto da colpo di Stato di Trump è stato di interpretare la sua vittoria elettorale come la presa di possesso di un potere separato, un potere privato legato alla sua persona, e alla sua famiglia, nominata alla Casa Bianca da lui. Il secondo è stato di esigere “lealtà” (lo ha fatto davvero, in un faccia a faccia con Comey, capo dell’Fbi, una sfida al super poliziotto che ha il potere di investigare anche il presidente) e di sentirsi rispondere che il presidente poteva contare solo sulla sua “onestà”.
Vuol dire che la morsa si allenta o la morsa si stringe? Certo, Trump pensa o sa di avere tutto il potere che gli serve per governare “fuori dalle istituzioni”, da casa sua, come fosse un monarca. Ma forse la morsa si stringe perché Trump ha commesso (debitamente assistito dai suoi) un primo errore capitale che potrebbe produrne, a catena, ben altri. Vero, Trump è un giocatore d’azzardo sconnesso dalla realtà e, fino a questo momento, incoraggiato da vittorie o apparenti vittorie, da consenso o apparente consenso. È bene tenere conto, però, che il direttore licenziato dell’Fbi è stato due persone diverse. Uno dei due Comey è stato protagonista di un fatto senza precedenti nelle campagne elettorali americane. Cinque giorni prima del voto presidenziale, ha fatto sapere pubblicamente, in tv, che uno dei due candidati, Hillary Clinton, era sotto indagine per probabili attività criminali, un linguaggio semplice, ben comprensibile e capace di arrecare un danno immenso e irreversibile. Non era mai accaduto, ma è accaduto. L’altro Comey, poco dopo il giuramento del candidato superstite, ha fatto sapere che un’inchiesta era in corso sui rapporti fra uomini del neo presidente Trump e la grande ragnatela di spionaggio e hackeraggio impiantata da tempo dagli uomini di Putin sulla vita interna (e anche segreta) degli Stati Uniti. In altre parole, era aperta una indagine su una presunta intesa segreta fra uomini di Trump e uomini di Putin. Nel frattempo anche uno special committee del Senato si era attivato, puntando su una sola persona, però molto coinvolta e molto informata (e grande sorpresa per molti americani) sui troppo amichevoli rapporti con Mosca. Era il generale Flynn, diventato nel frattempo National Security Advisor (ruolo che fu di Kissinger e che è il più delicato nella parte segreta della politica internazionale). Trump ha prontamente licenziato il suo generale prima ancora che rispondesse a una sola domanda sui suoi rapporti con i russi. Ma le ragioni del ruolo di Flynn restano sconosciute. Immaginate la realtà: un uomo di Trump, che proviene dal vertice delle Forze armate americane (con una carriera sempre nell’intelligence) è anche un uomo di Putin. Altri, forse, adesso entreranno nella rete dell’inchiesta Fbi (se continuerà dopo la decapitazione). Ma, al momento, uno dei burattinai (Trump non è l’unico, non è solo, ma si scoprirà più avanti chi gioca con lui) si è liberato di un uomo pericoloso. E lo ha fatto andando al di là di alcune audaci serie televisive politiche americane. Ecco la sequenza: Trump chiede “lealtà”, che nel linguaggio del potere significa obbedienza, e ottiene come risposta “onestà”, cioè nessuna garanzia. Allora ordina a Sessions (il ministro della Giustizia) di scrivere la lettera di licenziamento. Sessions non poteva per due ragioni. Solo il presidente decide e firma. Sessions si era impegnato in Senato (dichiarazione formale, vincolante come un giuramento) a non occuparsi mai più di questioni con i russi, che avevano coinvolto anche lui.
Ma un’altra lettera, identica, stesso giorno, ora e data, viene scritta e inviata dal viceministro della Giustizia Rosenstein (che almeno non ha affari con la Russia). Le due lettere non vengono spedite ma inviate a mano a Comey, però consegnate subito ai media. E così accade che Comey, mentre parla ai suoi uomini e ha, come al solito, alle sue spalle, lo schermo acceso delle operazioni in corso, nota un subbuglio tra chi dovrebbe ascoltarlo. Si volta e legge, insieme alla squadra, il suo licenziamento. Intanto Trump ha detto, in una intervista in tv, che Comey è inadatto a dirigere l’Fbi.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 14/05/2017.
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