Gli atti – L’imprenditore vicino ai clan sull’ex vicepresidente forzista della Lombardia, indagato e nominato ieri in commissione Sanità.
L’imprenditore amico della ’ndrangheta non ha dubbi. Per riempire la cesta degli affari in Lombardia bisogna puntare su Mario Mantovani, l’ex numero due del Pirellone, indagato per corruzione e miracolosamente nominato proprio ieri nella commissione Sanità della Regione. Lo sa Antonino Lugarà, ras brianzolo dell’edilizia, arrestato due giorni fa nel maxi-blitz coordinato dalle Procure di Monza e Milano.
L’intercettazione si trova nell’informativa finale di oltre mille pagine. “Mariolino – dice Lugarà – è la nostra punta di diamante”. Prosegue il figlio Giovanni (non indagato): “Comanda tutto lui (…) Maroni non lo considerano neanche (…). Tutto dipende da Mario”. Fatta questa premessa di metodo, Lugarà che ben conosce i boss della Brianza, che già si è speso, pancia a terra, per far eleggere a Seregno il sindaco Edoardo Mazza, messo ai domiciliari due giorni fa, entra più nel particolare. Lo fa lui e lo fa anche il figlio che pur non indagato al momento pare ben addentro alle dinamiche politico-imprenditoriali.
Ecco allora Mantovani, già senatore della Repubblica, ex assessore alla Sanità ed ex vicepresidente della Regione, oggi consigliere, raccontato come socio occulto in un affare immobiliare ad Arconate, suo Comune di residenza. Spiega Giovanni Lugarà: “Dobbiamo fare un’operazione grossa insieme (…) siccome lui dice ‘io non voglio c’entrare un cazzo sai che sono socio ma io non voglio c’entrare niente’; lui non entra neanche in società (riferendo ancora le parole di Mantovani, ndr) ‘l’operazione ti do io il commercialista, ti do io la banca (…) ma io non voglio essere né socio né un cazzo (…) sai che alla fine dell’operazione sono socio”. A Mantovani, si dice, interessa “solo la grana”. E ancora: “Lui (Mantovani, ndr) non è uno che si fida tanto (…). Tutte le operazioni le facciamo noi”. Poi sempre Lugarà riporta altre parole di Mantovani a proposito dell’affare di Arconate. “Adesso dobbiamo fare ’st’operazione ‘quello è il commercialista quella è la Banca, tu fai l’impresa’”. E ancora: “Mille metri sono già venduti lo fa comprare alla Regione perché gli servono uno spazio di uffici”. Il 15 ottobre 2015, però, Mantovani finisce in galera. La Finanza gli contesta diversi reati, corruzione compresa. La vicenda, in parte, manda a monte i piani di Lugarà che commenta: “Mannaggia Mariolino, adesso che eravamo partiti”. Prosegue il padre. “Una volta che c’era l’affidamento bancario eravamo a posto!”.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 28/09/2017.
Rispondi