SEQUEL DELLA “PARANZA DEI BAMBINI”.
NON per la fame, né per l’iPhone. Se i bambini di Napoli rubano, sparano, molto spesso uccidono, lo fanno perché le cose “vanno accussì”, in quel paradiso abitato da diavoli. Lo fanno perché dove regna la camorra, dove non esiste il diritto e dove le strade non hanno nome, “la vita di ogni criaturo sfida la morte, così come deve essere, finché la morte non se lo piglia…”. Eccola, nel linguaggio ruvido del disincanto, la morale di Bacio feroce, l’ultimo regalo di Roberto Saviano a un Paese che non si vuolespecchiare nelle sue miserie.
Un affresco dolente e potente su una generazione criminale appena nata e già perduta. Che vive e muore senza conoscere infanzia. Che affoga la rabbia in un’adolescenza fulminea di polvere e piombo. Che sa di avere davanti una sola missione esistenziale: stabilire, nel fuoco di una battaglia dove bene e male non esistono, chi sarà preda e chi predatore. Per chi ha già conosciuto ed amato “La paranza dei bambini” (sempre Feltrinelli), il nuovo libro di Saviano è il secondo capitolo di una saga quasi pasoliniana. L’ascesa dei “muschilli” che diventano grandi e che scalano a colpi di mitra la cupola mafiosa del narcotraffico. Cercano di prendersi il Centro Storico della città, scalzando le vecchie famiglie e tessendo alleanze con le nuove. La vita agra di ‘O Marajà e di Tucano, di Dentino e Pesce Moscio, di Drone e Biscottino, rimanda alla “Vita Violenta” di
Tommasino e di Zimmio, di Ugo e Carletto, di Budda e Zucabbo. Lì era Pietralata, qui è Forcella. E se in Pasolini trasudava la “pietas” per quei figli derelitti del proletariato, in Saviano emerge la pena per quelle “criature” della piccola borghesia. Carne viva, ma portata al macello da madri che la nutrono di veleno e vendetta, perché “si ‘a strada r’o bbene nun c’ha purtato niente, la strada del male porterà qualcosa”.
Sulle orme di Pasolini, Saviano è uno dei pochi intellettuali, forse l’unico, che ha ancora il coraggio di sfidare le convenzioni e le convenienze. Di rompere il conformismo, con scritti e parole “corsare”. Sui migranti o sul fine vita. Sulla liberalizzazione della cannabis o sulla corruzione. Le organizzazioni criminali sono la sua giusta ossessione civile. E su quelle, più ancora che su tutto il resto, ci chiama da tempo a un brutale risveglio. Nell’eterno reality in cui ci hanno immerso le serie tv, rinunciamo a tirare fuori la testa per guardare in faccia la realtà. Non ci rendiamo più conto che il reale è già molto più “oltre” rispetto al virtuale. Ogni riga di Saviano sta lì a ricordarcelo.
Crediamo che sia solo un romanzo, la breve epopea di Nicolas. Costellata di baci d’amore e di morte, di baci normali e di baci feroci “che non conoscono limiti… vogliono essere ciò che baciano… e lasciano sempre un sapore di sangue”. La guerra quotidiana per il controllo delle piazze di spaccio, con i suoi eserciti in lotta e i suoi caduti sul campo. Gli amici massacrati e le torture inaudite, le teste mozzate e i denti strappati. Poi le “stese”, le sparatorie, gli omicidi. Materia estrema ed inerte, sceneggiatura già pronta per il prossimo film, come i libri migliori di Don Winslow, da Il potere del cane a I re del mondo. E invece no. Come già per Gomorra,Saviano affonda le mani in un’altra materia, vibrante e persino più estrema: la cronaca di ogni giorno. Quella nascosta. Quella che non vediamo, o fingiamo di non vedere. Nicolas Fiorillo, detto appunto ‘o Marajà, in questo tragico sequel della Paranza dei bambiniè solo l’alter ego letterario di un baby boss nato e morto sul serio: Emanuele Sibillo, adolescente capo- clan dei “Nuovi Giuliano”, assassinato il 2 luglio di due anni fa a Forcella, con una pistolettata alla schiena, dalla banda rivale dei Buonerba. Come Nicolas, Emanuele non aveva ancora compiuto vent’anni, ma si portava già dietro una scia impetuosa di sangue.
Nel libro, Nicolas avverte il vecchio ras del quartiere: “Io non sono nato per fare il principe, io sono ‘o re…”. Rimprovera suo padredavanti alla tomba del fratellino assassinato in una faida: “Il perdono è per i deboli come te… ‘O tiempo pe’ fa crescere ‘a criatura ce sta sempre, è ‘o tiempo ‘e addiventa capo che se ne fuje…”. Nella realtà, Emanuele ad appena 17 anni faceva le sue prime “stese” a colpi di Ak 47 a via Oronzio Costa e lanciava la sfida agli anziani affiliati dei Mazzarella. Il giorno del suo diciottesimo compleanno scriveva sui social: “Fatemi tanti belli auguri, perché non arriverò a 21 anni…”.
I “paranzini” lo sanno. Sono vite a perdere, che si consumano in un attimo, tra una raffica di kalashnikov e una pista di coca. Non c’è scuola né Stato, non c’è tetto né legge. Soprattutto, non c’è tempo, “quando hai deciso di stare dentro ‘sta vita… Oggi ci siamo, domani no”. E domani arriva presto, in questa Apocalisse riempita di nulla, fatta di disprezzo per la codardia dei genitori che piangono i figli persi e per la pezzenteria degli onesti che tirano la carretta per 4 soldi. Loro, invece, hanno un solo scopo, qui ed ora: guadagnare subito 5 mila euro, rubando taglieggiando e ammazzando, per investirli in cocaina che li moltiplica in un solo anno in un milione di euro.
È in quell’anno che tutto comincia e tutto può finire. Quando la paranza al gran completo decide di fare un’intervista a un tg locale, Nicolas e gli altri si presentano incappucciati, e spiegano il loro attimo fuggente e sospeso tra euforia e paura: “Cosa vuoi fare da grande? – Io sono già grande… – E quando sarete più vecchi? – Io non voglio diventare vecchio…”. C’è una suggestione, in questa gioventù bruciata descritta da Saviano: i 18 anni, la stessa età dei terroristi dello Stato Islamico che hanno colpito a Barcellona e a Londra. Nicolas li ammira, perché “tengono le palle”. La paranza, mentre festeggia il prossimo arrivo del carico di droga e si prepara a giustiziare il suo ennesimo “hi- guain”, inneggia in coro ai militanti del Califfo Nero: siamo come “l’Isis contro il pianeta Terra”!
I paranzini di Forcella, come i kamikaze di Daesh, devono scegliere: campare da mediocri, farsi arrestare da polli, o crepare da eroi. In uno scontro a fuoco, o con una cintura di esplosivo addosso. Una fine molto più dignitosa, secondo il legno storto di queste schegge di umanità impazzita. Se muori a 99 anni sei centenario, se muori a 21 sei leggendario. Per questo il destino di Nicolas e della sua banda è già segnato. Perché nonostante la fame e la sete di soldi e di potere che hanno espresso, “comandare è tosto” e “dopo che voli sai quanti cazzi in culo prendi…”. Alla fine “i bambini restano bambini”, come dice a Nicolas don Vittorio, l’Arcangelo della morte che lo aveva incoronato “sul trono di Napule” e che ora lo destituisce a colpi di coltello, non prima di avergli dato l’ultimo bacio feroce, e stavolta fatale.
“Devi sempre guardare dove gli altri non guardano – gli sussurra – e stavolta tu non hai guardato…”. Ma poi cosa c’era da vedere, al di là di questo gorgo di tenerezza e dolore che inghiotte tutto e tutti, di questo “ordine” terrificante imposto dai clan tra una mattanza e l’altra, di questa muta indifferenza dell’opinione pubblica e di questa cinica latitanza della politica? Tutto questo, c’era e c’è da vedere.
Articolo intero su La Repubblica del 12/10/2017.
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