C’erano una volta i politici che, accusati di prendere tangenti, sparivano dalla circolazione perché bastava il sospetto. Poi vennero quelli che si indignavano per le accuse, rivendicavano la propria onestà e querelavano gli accusatori. Poi arrivò Craxi, che prima additò Mario Chiesa come “mela marcia in un cestino di mele sane”; poi, quando Chiesa raccontò a Di Pietro “il resto del cestino”, prese la parola alla Camera e, con agile piroetta, rivendicò orgoglioso: “Qui rubiamo tutti, si alzi in piedi chi non ruba”. Poi naturalmente scappò. Andreotti invece preferì un alibi alla vaselina: di fronte alle prove schiaccianti delle sue frequentazioni con noti mafiosi, concesse – bontà sua – che forse aveva un po’ “sottovalutato la mafia”, tutto preso da ben altre emergenze (lo scirocco e il traffico). Pompetta Culoflaccido B., a parte negare persino di chiamarsi B. (“mai sentito parlare di All Iberian: vi pare che uno col mio senso estetico avrebbe chiamato una società con quel nome?”), non entrò mai nel merito delle accuse: si limitava a gridare al complotto e a giurare sulla testa dei suoi poveri figli, che ancora ne portano le conseguenze. Mastella e signora, beccati a lottizzare tutto il lottizzabile nel feudo di Ceppalonia e a minacciare chiunque si permettesse di non chiamarsi Mastella e di non appartenere all’Udeur, fecero tanto di occhi per lo stupore di essere inquisiti, visto che “così fan tutti”. E magari avevano ragione, peccato che lottizzare e minacciare sia reato. Meglio di loro fece Matteoli, che sfoderò per Bertolaso un alibi di ferro: “Non credo che prenda tangenti, ha troppe cose da fare”. Ma appena ha due minuti liberi… (altro…)
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