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Posts Tagged ‘Goffredo De Marchis’

LE TAPPE

In Direzione il leader aprirà agli scissionisti Previsto incontro con la Bonino Ma il titolare del Viminale apre un caso sui migranti.

Minniti al Pd: voglio capire se è cambiata la mia linea.

ROMA – «Voglio ascoltare Renzi, voglio capire se è cambiata la linea del Pd sull’immigrazione». Parla il ministro dell’Interno Marco Minniti. Annuncia la sua presenza alla direzione di oggi, tutta incentrata sulle alleanze future. Ma qualsiasi accordo costa, anche quello, che viene dato per scontato a Largo del Nazareno, con Emma Bonino e i radicali. Al titolare del Viminale non sono piaciute le critiche alla sua politica espresse dall’ex commissaria Ue e dal presidente del Pd Matteo Orfini nelle interviste con
Repubblica.

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Il retroscena.

La linea è garantire la maggioranza di 161 sì necessaria in Senato per approvare i saldi, ma sfilarsi sul voto successivo. Pisapia contrario a rompere.

ROMA – «Tira un’aria molto critica sul Def». Dal gruppo dei bersaniani al Senato arriva l’ultima minaccia al governo Gentiloni e al rapporto con Giuliano Pisapia. La più seria visto che tra 24 ore si votano a Palazzo Madama i saldi dei conti pubblici e la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza. E per la prima risoluzione serve la maggioranza assoluta, ovvero 161 “sì”. Sono parole di rottura quelle che filtrano attraverso i senatori di Mdp. Rottura con l’esecutivo appoggiato dal Pd di Matteo Renzi ma anche con lo stesso Pisapia, che proprio ieri mattina ha incontrato il premier mettendo sul tavolo le richieste della sua area ma in sostanza concordando un via libera ai passaggi preliminari della legge di bilancio.

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Dopo l’incontro con Pisapia, quello con il segretario Pd: superare i veleni della scissione ed evitare l’alleanza con Berlusconi. “Ma non ho mire di governo”.

ROMA – «Io faccio da colla». Alla fine della giornata Romano Prodi regala la battuta che lo rimette al centro di un progetto comune, che lo riporta al ruolo svolto durante la stagione dell’Ulivo: l’unificatore e non l’uomo che divide. L’altro ieri ha visto per due ore Giuliano Pisapia. Ieri mattina alle 8, Matteo Renzi si è seduto sulla stessa poltrona di un salottino all’Hotel Santa Chiara e ha discusso con il Professore per altre due ore. Incontro chiesto dal segretario del Pd per chiarirsi, per chiedere dei consigli, per capire quanta ostilità è presente in ciò che si muove intorno al Partito democratico.

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Il retroscena

Ieri l’ultimo colloquio tra i due: “Ma il voto non è più alle porte, ogni benedizione è prematura”. I renziani: “Sperano in un flop ai ballottaggi per silurarci”.

ROMA – Ramoscello d’ulivo stretto in una mano, Romano Prodi si presenta puntuale al Centro studi americani in Via Caetani. Ha appena preso un caffè (lungo) con Giuliano Pisapia, anche lui a Roma. Solo l’ultimo di molti incontri riservati avvenuti in questi giorni. A conferma che il Professore è pienamente dentro il progetto di centrosinistra portato avanti dall’ex sindaco di Milano. Progetto alternativo a Renzi, al Pd e che per i renziani va intepretato in un solo modo: «Altro che ricerca della coalizione. È solo un tentativo di spallata a Matteo».

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Il retroscena.

Gentiloni conferma la fiducia e il Pd si schiera in blocco a difesa, però a Palazzo Chigi l’allerta è alta e si spera in una smentita di Unicredit per chiudere il caso.

ROMA – «Se Ghizzoni non smentisce è un problema». Con poche parole una autorevole fonte del governo alimenta la preoccupazione per la sorte di Maria Elena Boschi, sottosegretaria a Palazzo Chigi, volto del renzismo. In attesa di un cenno da parte dell’ex amministratore delegato di Unicredit, si specchiano il caos scatenato da Beppe Grillo contro l’ex ministro delle Riforme e il «pieno sostegno » di Paolo Gentiloni filtrato attraverso le maglie della comunicazione istituzionale. Ma il «problema» rischia di gonfiarsi e allora lo spettro delle dimissioni potrebbe affacciarsi più nitidamente.

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Il retroscena.

Accelera la costruzione di un nuovo soggetto che sfiderà i dem alle elezioni. “Non deve essere né una riedizione della Ditta ex Ds né un listino di sinistra” L’obiettivo di coinvolgere Prodi e Letta. I bersaniani offrono la guida all’ex sindaco di Milano.

ROMA – Laura Boldrini, com’era naturale. Ma anche Pietro Grasso, meno scontato. «La finestra di una coalizione con il Pd si chiude, mi pare. Prepariamoci a fare il centrosinistra da soli», dice Giuliano Pisapia in un incontro a porte chiuse a Roma. La lista a sinistra del Pd accelera e vede bene i presidenti delle Camere nel proprio recinto. Per dimostrare che è largo, aperto, non solo rosso, comprende movimentisti come Pippo Civati, uomini della vecchia ditta come Bersani e D’Alema ma anche figure istituzionali. Quindi, non estremista, credibile, alternativa di governo.

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Il retroscena.

L’ex premier confida in una larga affermazione ai gazebo e sfrutta l’effetto May: “Inutile attendere il 2018”. Ma per ora raccoglie solo dei no.

ROMA – Lo ha detto a Paolo Gentiloni e attraverso di lui a Sergio Mattarella. «Bisogna votare prima del 2018. La legislatura è finita il 4 dicembre con la sconfitta al referendum». Poi lo ha ripetuto agli alleati “moderati” come Dario Franceschini e Piero Fassino. «Il logoramento avvantaggia solo i 5stelle. Troviamo una data per le elezioni anticipate ». Matteo Renzi ha fretta e fa molto poco per nasconderlo, come raccontano i suoi interlocutori. Finora però ha raccolto solo dei “no”. A cominciare da quello del premier. Motivati, non di rottura. Ma le frenate di fronte ai numerosi assalti renziani sono state brusche e hanno lasciato i segni sull’asfalto.

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Il retroscena.

L’offerta all’ex sindaco e Boldrini a candidarsi con i dem, ma stop a Mdp e agli ex Sel.

TORINO – Appello al voto utile, soglia di sbarramento al 5 per cento per fare una bella scrematura fra chi ha i voti e chi non li ha, disponibilità a candidare nella lista del Pd alcune figure della sinistra. «Pisapia e Boldrini possono presentarsi sotto il nostro simbolo, da indipendenti. Per loro c’è posto», spiega ai suoi Matteo Renzi. Tutto il resto della galassia, out.

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la-sinistra
ROMA – Nuova sinistra-diritti e lavoro. È uno dei possibili nomi per i gruppi parlamentari della scissione Pd. Sta scritto sui foglietti volanti della riunione che ha messo intorno al tavolo, ieri pomeriggio, alla fine dell’assemblea del Pd, Michele Emiliano, Roberto Speranza, Enrico Rossi in collegamento telefonico, Nico Stumpo, Francesco Boccia e Dario Ginefra. Riunione dove non era ancora chiaro l’approdo, soprattutto per il gruppo dei pugliesi, ma dove qualche conto sui numeri in Parlamento e qualche nome è stato fatto. Certificando che la fine del Pd come lo conosciamo è davvero dietro l’angolo. Questione di ore. E che almeno una parte degli scissionisti ha varcato il Rubicone.

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le-correnti

Il retroscena.
Bersani: “Se passa questa linea, noi fuori un minuto dopo”. L’idea di disertare già dall’assemblea Franceschini: “Forse stavolta è impossibile evitare il crac”.

ROMA – Ha gettato la spugna anche Dario Franceschini: «Lavoro per evitare la scissione. Quante chance ho di farcela? Non lo so». Il ministro della Cultura si è preso l’incarico di mediare tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani. Non è intervenuto in direzione per mantenere un profilo da casco blu almeno fino all’assemblea nazionale di sabato. Poi, ha votato il documento del segretario e compiuto di fatto la sua scelta. Userà ancora l’arma della paura, valida per i renziani e per i dissidenti. «C’è tempo fino a sabato – dice alla fine della riunione -. Bisogna pensarci bene, lo facciano tutti. Se va via dal Pd un ex segretario è un problema gigante. E in giro per l’Italia quel mondo vale più dei 13 voti che hanno in direzione ».

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Il totoministri.

Minniti pronto all’Interno. Lotti c’è, il giglio magico rilancia Cuperlo rifiuta l’Istruzione: arriva Rossi Doria. Mazzoni e Zanetti in pista per Ala.

ROMA – Un segnale di discontinuità con la scelta del maestro di strada Marco Rossi Doria all’Istruzione. E molti segnali di continuità con il governo Renzi, a cominciare dalla conferma del cosiddetto “giglio magico”, i fedelissimi dell’ex premier. Si va verso una squadra con dentro Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Boschi lascerà i Rapporti col Parlamento ad Anna Finocchiaro. Potrebbe diventare sottosegretario a Palazzo Chigi o tenere il ministero delle Pari opportunità.

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ParisiIn squadra nessun colonnello di Forza Italia. Tra i “ministri” Pilati. Un ruolo per Sacconi e Quagliariello.

L’ex manager sta costruendo un pool che si materializzerà alla convention di settembre La linea è quella indicata da Berlusconi: dare al centrodestra volti nuovi archiviando i vecchi
ROMA – Stefano Parisi si prepara a dare un nuovo dispiacere ai colonnelli di Forza Italia che non lo amano. Sta infatti costruendo una squadra che lo affiancherà nel suo ruolo di nuovo federatore del centrodestra, con la benedizione di Silvio Berlusconi. Un “pool”, lo chiamano i suoi amici, dal quale verranno esclusi «i veterani della politica ». Una team di portatori di idee, è l’altra definizione che circola nell’entourage dell’ex manager. In sostanza, dicono altri, si punta a formare un governo- ombra del centrodestra in grado di superare i veti dei singoli schieramenti presenti in Forza Italia.

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I numeri al senato

Dimissioni da capogruppo: “Il centro è fallito”. Alfano: “Io vado avanti”. Renziani freddi sul Mattarellum 2.0.

ROMA. Renato Schifani considera chiaro «lo sgretolamento del centro, il progetto è fallito. Prima il No dell’Udc al referendum costituzionale, poi le mie dimissioni da capogruppo dell’Ncd al Senato. È una brutta giornata per Alfano…». L’ex presidente del Senato ha lasciato ieri il Nuovo centrodestra motivando il suo addio in una lunga lettera ai senatori. «Il centro purtroppo non esiste, l’alleanza strutturale con il Pd è sbagliata. Non potevo continuare a stare nella cabina di comando di una cosa a cui non credevo», è la sua spiegazione in serata. Il ministro dell’Interno risponde con una nota in cui sostanzialmente dice che è meglio così, che chi non ci sta è bene che lasci il partito. Il rapporto si era già rotto quando Schifani aveva fatto visita ad Arcore al convalescente Berlusconi.

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I puntiLa proposta della minoranza Pd: un Mattarellum col premio. D’Alema: “Ci sia libertà di votare No”.

ROMA – Nessun deputato nominato. Per essere più precisi, «nessuno avrà il posto garantito al 100 per cento», spiega Federico Fornaro che è uno degli autori della legge elettorale della minoranza del Pd. È questa la novità più evidente del sistema messo a punto dallo stesso Fornaro, da Andrea Giorgis e da Roberto Speranza per cambiare completamente l’Italicum, la norma voluta da Matteo Renzi. «Non è una semplice manutenzione». Per certi versi è un ritorno al Mattarellum perché 475 onorevoli (su 630) verrebbero eletti nei collegi uninominali mentre il 25 per cento restante servirebbe a distribuire il premio di maggioranza al primo arrivato e, in parte, a dare rappresentanza agli ultimi.

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Il retroscena.

L’appello di Napolitano in vista della consultazione di ottobre: “I cittadini non facciano cadere le riforme nel nulla”. L’attacco di Salvini: “A ottobre prenderà una bella capocciata.

ROMA – Enrico Letta candidato premier, Roberto Speranza segretario del Pd. Concentrati sull’accusa a Renzi di «vivere in un talent», è sfuggita ai più, durante la direzione dem, l’altra parola inglese usata da Gianni Cuperlo: ticket. «Al prossimo congresso — ha detto l’ex presidente del Pd — non sosterrò un capo ma un ticket composto da una guida solida per Palazzo Chigi e una personalità diversa per il partito».

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La segreteria Pd chiede impegno ai gruppi che hanno votato la riforma, anche i verdiniani. L’attacco di D’Alema: Matteo mi fa la guerra, deve lasciare il partito.

ROMA – L’allarme di Renzi è scattato ufficialmente nelle ultime ore: mancano migliaia di firme di sostegno al referendum costituzionale. Quota 500 mila va raggiunta entro l’11 luglio. Siamo poco sopra la metà. Per questo il Partito democratico ha chiesto anche agli altri partiti schierati con il Sì di fare la propria parte. Si è messa in moto, dunque, la macchina (un’utilitaria, certo) di Denis Verdini. Ala infatti sta distribuendo i moduli per raccogliere le adesioni dei cittadini. «Siamo indietro e tocca anche a noi», dice in Transatlantico il deputato verdiniano Luca D’Alessandro.

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RenziGuerini sul voto in Spagna: l’impasse di quel Paese deve far riflettere chi vuol cambiare, però ci confronteremo Spinte nel Pd per rinviare il referendum a dopo la Stabilità. No di Renzi: la data dipende dalla legge, non da me.

ROMA – «L’Italicum garantisce rappresentanza e governabilità », sentenzia il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini che pure aveva fatto delle aperture per modificarlo. Il nuovo stallo prodotto dalle elezioni spagnole rincuora i sostenitori della legge voluta da Renzi. Il costituzionalista Stefano Ceccanti, che ha scritto la bibbia delle riforme renziane, “La transizione è (quasi) finita” (Giappichelli editore) sintetizza: «Con il ballottaggio tra Rajoy e Sanchez, la Spagna avrebbe finalmente un vincitore e un governo». Il secondo turno infatti spazzerebbe via il tripolarismo che ormai regna sia nella penisola iberica sia in quella italiana. Ma è tutto così semplice?

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RenziROMA – «La sconfitta a Torino e Roma è senza attenuanti. Ma lo ripeto anche a urne chiuse: non è un voto nazionale, bensì locale. Non cambio certo idea perché abbiamo perso». Matteo Renzi, seduto nell’ufficio di Largo del Nazareno, cerca di non smarrire il controllo davanti ai dati dei ballottaggi. Numeri brutti, in alcuni casi pessimi. Destinati ad aprire una nuova stagione del renzismo, inevitabilmente. Eppure il premier prova a tenere la barra dritta. «Non mi dimetto, sia chiaro. Nè da Palazzo Chigi nè da segretario del Pd. La minoranza chiede il congresso? Si accomodino. Tanto ci vuole un po’ di tempo e non si può fare prima del 2 ottobre». Che succede il 2 ottobre? Per Renzi è come se fosse la data già fissata del referendum costituzionale. E nella sera più buia della sua ascesa politica, l’ex sindaco di Firenze conferma: «Il referendum è la partita con la P maiuscola. Se perdo, il congresso non mi tocca. Se vinco…».

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L’ex leader Ds ammette di aver telefonato allo storico dell’arte Montanari e di aver fatto “battute” sui grillini.

ROMA -«Continuo a leggere su Repubblica falsità, forzature e valutazioni o prese di posizione pubbliche riportate come se si trattasse di trame e complotti ». Massimo D’Alema scrive una nuova nota di smentita dopo la ricostruzione dettagliata di
Repubblica uscita ieri sul giornale. Abbiamo spiegato come, dove, quando e con chi l’ex premier ha espresso i suoi giudizi contro Matteo Renzi, ha annunciato il voto per Virginia Raggi a Roma, ha suggerito al critico Montanari di far parte della giunta a 5 stelle, ha auspicato una sconfitta del Pd nella Capitale e a Milano, ha spiegato la sua strategia per la campagna del No al referendum costituzionale.

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I casiLa vicesegretaria dem: c’è chi vuole l’Italia allo sfascio E Raggi ricorda Berlinguer: profetico su etica e politica.

ROMA – Il Pd sigla il suo primo apparentamento, strumento ormai in disuso nei ballottaggi delle Comunali. Lo fa a Milano dove Beppe Sala conquista l’appoggio ufficiale dei Radicali e di Marco Cappato. Ma nelle altre città i dem sono isolati, anzi spesso hanno tutti contro, dai 5 Stelle alla Lega agli alleati storici della sinistra radicale. «L’obiettivo di questo fronte – dice il vicesegretario Debora Serracchiani – è sfasciare tutto. Non si pongono nemmeno il problema del dopo, di come saranno governate le città».Ieri a Trieste, il capoluogo della Regione dove la Serracchiani è governatrice, è arrivato Matteo Salvini. Il ballottaggio è tra il candidato della sinistra Cosolini e quello di destra Dipiazza. «In Friuli abbiamo 4000 immigrati su 1 milione e 200 mila abitanti. A Trieste sono 850. Non è una questione centrale come si capisce dai numeri. Eppure Salvini ha parlato solo di quello». Fin qui niente di nuovo, ma «l’accozzaglia» come la chiama la Serracchiani mette in difficoltà il Pd che riesce a incassare ben pochi sostegni esterni.

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