Quei volti senza sorriso e l’impotenza del nostro mondo.
La libertà delle donne è ormai il nocciolo duro della parola
Occidente.
IERI, grazie all’imprudenza dei loro persecutori, le abbiamo viste “le nostre ragazze” rapite, rivestite e velate al gusto di quelli, con gli occhi sbarrati dallo spavento, addestrate a pregare con le palme aperte ma non abbastanza da simulare un solo sorriso. Il mondo è ubriaco di petrolio, acqua, traffici di droga e armi, minerali rari, giochi della finanza. CHE si combatta una guerra planetaria la cui vera posta è il controllo e la riconquista delle donne può sembrare una boutade, o un’iperbole. I signori di Boko Haram si sono premurati di renderlo evidente, come in un Manifesto. (altro…)
Chibok, Nigeria.
Ecco cosa resta della scuola distrutta dai membri della Boko Haram,organizzazione terroristica jihadista, che il 14 aprile scorso ha rapito tutte le studentesse presenti nell’istituto. Boko Haram, in lingua hausa, significa: l’educazione occidentale è un peccato. Immaginarsi quando l’istruzione coinvolge giovani donne. Lo scorso 14 aprile, alcune studentesse sono riuscite a scappare. Tra loro anche Armina. “Pensavamo fossero soldati, ci hanno chiesto di montare sulla camionetta. Io e le mie amiche a un certo punto siamo saltate giù e siamo riusciute a tornare a casa. Ci sono sembrati pericolosi”. (altro…)
Kate, sospesa l´espulsione verso la Nigeria. Frattini: “Va concesso l´asilo”. Nel suo Paese la donna, 34 anni cristiana, rischiava la lapidazione.
ROMA – «Grazie, grazie… mi avete salvato la vita. L´Italia è il mio angelo salvatore…grazie ancora…». Sono le 14 e 30 di ieri, piazzale antistante il carcere di Castrovillari. Kate Omoregbe è inginocchiata, in lacrime. Ha appena saputo che non dovrà tornare in Nigeria, dove teme di essere lapidata. Il provvedimento di espulsione è stato sospeso e da ieri la donna, appena uscita di galera, è libera due volte.
«Sono felicissima – dice a stento davanti alle telecamere, poco prima di essere portata in questura per formalizzare la richiesta di asilo politico – ringrazio tutti quelli che si sono mossi per me, il popolo italiano, il presidente Napolitano. Questa notte non ho dormito per l´ansia. Ora voglio rimanere in Italia e vivere senza paura». Nigeriana di 34 anni, cristiana, spaventata, scappata dal suo Paese dieci anni fa per non sposare un uomo scelto dalla famiglia che la voleva convertire all´Islam, finalmente può aprire il suo cuore. (altro…)
Il colosso farmaceutico americano ‘Pfizer’ ha cominciato a risarcire le famiglie rimaste vittime delle sperimentazioni del ‘Trovan’, un farmaco contro la meningite che provocò nel 1996 la morte di almeno 11 bambini, causando malformazioni a decine di altri a Kano, capitale dell’omonimo stato del nord della Nigeria. I parenti di quattro minori deceduti hanno per il momento ricevuto ciascuno l’equivalente di circa 123.000 euro. La sperimentazione è stata condotta durante un’epidemia di meningite nello stato con un farmaco ancora non approvato dall’ente americano su 200 bambini, senza ottenere dai loro genitori il cosiddetto «consenso informato». Secondo testimonianze dei genitori e del personale dell’ospedale in cui è stato condotto, il test è stato portato avanti in una sessione chiusa, in cui operava solo il personale della Pfizer. (altro…)
La memoria rende l’uomo libero, per questo è giusto di tanto in tanto dedicare un post a qualche accadimento storico, anche molto recente, per ricordarci di grandi uomini da considerare esempio di grande civiltà e umanità.
Oggi mi va di parlarvi di Ken Saro-Wiwa, uno scrittore e attivista nigeriano, appartenente all’etnia degli Ogoni, che si fa promotore di un movimento per la loro sopravvivenza, il MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People). Quelle terre sono infatti devastate dalle multinazionali in cerca di ricchezza, responsabili di continue perdite di petrolio che danneggiano le colture di sussistenza e l’ecosistema della zona.
Ken Saro-Wiwa non ha paura di combattere per le proprie idee e per la propria terra. Grazie a lui il movimento ottiene risonanza internazionale con una manifestazione di 300.000 persone. L’attivista nigeriano, perché scomodo, viene imprigionato più volte senza nemmeno un processo, ma grazie anche all’attenzione internazionale che il MOSOP era riuscito a raggiungere viene rilasciato e continua a testa alta la sua battaglia.
Arrestato una seconda e una terza volta nel 1994, con l’accusa di aver incitato all’omicidio di alcuni presunti oppositori del MOSOP, Ken Saro-Wiwa viene impiccato a Port Harcourt con altri 8 attivisti del MOSOP al termine di un processo che ha suscitato le più vive proteste da parte dell’opinione pubblica internazionale e delle organizzazioni per i diritti umani. (Wikipedia)
Per la morte di Ken Saro-Wiwa fu avviata una causa legale contro la Shell per dimostrarne il coinvolgimento nell’esecuzione. Il processo non andò mai fino in fondo perché la Shell ha subito patteggiato accettando di pagare un risarcimento di 15 milioni e mezzo di dollari, ma secondo molti ambientalisti, documenti confidenziali dimostrerebbero il coinvolgimento della compagnia petrolifera nelle violazioni dei diritti umani in Nigeria.
Molti artisti e scrittori cercano di non far morire il nome di Ken Saro-Wiwa. Per esempio Roberto Saviano, durante la trasmissione Che tempo che fa, ha raccontato di Ken Saro Wiwa ponendo il parallelo di chi denuncia un’ingiustizia o un malaffare perpetrati da una Multinazionale o dalla Camorra. Anche il gruppo noise-rock “Il Teatro degli Orrori” ha dedicato la titletrack del suo secondo album, “A sangue freddo”, al poeta nigeriano.
Tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale. (Ken Saro-Wiwa).
Faith Aymoro è una ragazza nigeriana di 23 anni, in Italia è arrivata nel 2007.
Dalla Nigeria, suo paese di origine, è scappata perché accusata di omicidio: ha ucciso l’uomo che aveva tentato di violentarla.
Faith arriva dunque in Italia, ma non ha il permesso di soggiorno, per la legge italiana è un’ irregolare.
Nel corso di questi anni le vengono notificati ben due decreti di espulsione, ma lei continua a rimanere nel capoluogo emiliano dove riesce anche a costruirsi una vita.
Ha un compagno e lo scorso anno aveva anche trovato un lavoro regolare che le aveva consentito di fare richiesta di permesso di soggiorno. Un permesso mai arrivato.
Qualche settimana fa l’epilogo della tragedia. Un suo connazionale tenta di usarle violenza mentre sta in casa. I vicini allarmati dalle urla chiamano i carabinieri, che arrivati sul posto, dopo aver constatato che il tentativo di violenza c’era stato, non solo arrestano lui, ma portano via anche lei a causa di quei due decreti di espulsione non ottemperati.
Faith finisce nel Cie di Bologna dove il decreto di espulsione diventa effettivo.
Il 20 luglio viene prelevata dal Cie e rispedita in Nigeria, nonostante la richiesta d’asilo presentata dal suo avvocato e la domanda di sospensiva presentata al giudice di pace per motivi di giustizia. Appena giunta in Nigeria Faith è stata arrestata e ora è rinchiusa in un carcere di Abuja, la capitale della Nigeria, dove adesso rischia una condanna alla pena di morte per impiccagione. (altro…)