Non sono in tanti a saperlo o a ricordarselo. Ma il 25 novembre è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. È stata l´Assemblea Generale dell´Onu a istituirla nel 1999, invitando i governi, le organizzazioni internazionali e le ong ad organizzare ogni anno incontri ed eventi per sensibilizzare l´opinione pubblica nei confronti di questo dramma.
Perché è assurdo che, ancora oggi, tante donne siano il capro espiatorio dell´aggressività maschile. E che in molti non ci facciano nemmeno più caso, come se si trattasse di un problema minore, che concerne solo alcuni Paesi, determinati ambienti sociali, poche persone insomma. E invece no! Nonostante i progressi nel campo dell´uguaglianza di diritti dei due sessi, il rapporto che gli uomini intrattengono con il mondo femminile resta estremamente complesso. E la violenza che subiscono le donne continua ad essere uno dei più grandi flagelli contemporanei. Secondo il Consiglio d´Europa, sono proprio le violenze fisiche, sessuali e psicologiche che subiscono le donne una delle cause principali della mortalità femminile negli Stati membri. In Italia, secondo gli ultimi dati dell´Istat, una donna su tre è stata vittima della violenza di un uomo, almeno una volta nella propria vita. Chi sono allora questi uomini violenti? Perché non si riesce ancora a far prendere coscienza a molte persone della gravità del problema?
Grazie a numerosi studi sociologici, oggi sappiamo che “l´uomo violento” non è più solo un pazzo, un mostro, un malato; un uomo che proviene necessariamente da un contesto sociale povero e incolto. L´uomo violento può essere di buona famiglia e avere un buon livello di istruzione. Non conta il lavoro che si fa o la posizione sociale che si occupa, ma l´incapacità ad accettare l´alterità e l´autonomia femminile. Si tratta per lo più di uomini che diventano violenti per paura di perdere il controllo e il potere sulla donna. E che percepiscono il proprio atteggiamento come “normale”: fa parte del copione della virilità cui in genere aderiscono profondamente. Anche se la maggior parte delle volte sono uomini insicuri e che hanno poca fiducia in loro stessi. Uomini che, invece di cercare di capire cosa esattamente non funzioni nella propria vita, accusano le donne e le considerano responsabili dei propri fallimenti. Talvolta fino al punto di trasformare la vita delle donne che li circondano – mogli, madri, sorelle o figlie – in un incubo. Come racconta la filosofa americana Susan Brison in un bellissimo libro autobiografico, la violenza che una donna subisce dall´uomo distrugge l´essere stesso di chi le subisce, perché elimina ogni valore, distrugge ogni riferimento logico. È proprio questo il messaggio del 25 novembre: far capire che è estremamente difficile, per una donna che subisce violenze e umiliazioni, parlare di ciò che ha vissuto o continua a vivere. Le parole mancano, si balbetta, non si riesce a spiegare esattamente ciò che è successo. Ci vogliono anni per poter riuscire ad integrare questi “pezzi di vita” all´interno di un racconto coerente. Soprattutto quando l´autore è il padre o il marito. Per poterlo fare, c´è bisogno che qualcuno ascolti veramente, senza pregiudizi e senza diffidenza, anche quando i ricordi paiono incongrui e l´atteggiamento nei confronti dei carnefici sembra ambivalente. Certo, non si potrà mai definitivamente eliminare l´ambiguità profonda che ogni essere umano si porta dentro. Nessuno di noi è immune dall´odio, dall´invidia, dalla volontà di dominio. Ma il carisma e l´autorità non hanno mai bisogno di utilizzare la prevaricazione e la violenza. Al contrario. La vera autorità è sempre calma, senza per questo essere debole.
Da La Repubblica del 25/11/2011.
E continuano a dire che bisogna essere coraggiose e denunciare, dimenticando che quelle uccise, tutte, hanno avuto prima una bella collezione di denunce presentate in questura.
Disperate, sole, indifese, inascoltate, costrette al silenzio: questo paese firma leggi anti.stalking, ma resta spaventosamente arretrato sui concetti più importanti, e in questi ultimi anni ha fatto enormi passi indietro sul rispetto di cui le donne hanno bisogno per poter vivere tranquille e sicure.
“Le vogliamo libere e felici, ma soprattutto vive” è la frase di presentazione di uno dei centri di Milano.
La violenza nasce nel bambino egocentrico,che pretende di essere sempre servito.Naturalmente non avviene nelle famiglie numerose,dove i fratelli rinunciano spesso a qualche capriccio per favorire l’altro.Se l’adulto non si è liberato dell’egocentrismo non accetterà di rinunciare a ciò che ritiene importante ed in casi estremi,se di debole moralità, giungerà ad uccidere pure la persona amata che non si assoggetterà al suo volere.Possiamo quindi dire che l’acuirsi delle violenze sulle donne è frutto di un difetto della nostra cultura “moderna”.