Ci siamo abituati a dire “siamo in guerra”. Dovremmo abituarci a dire “siamo in guerre”, perché molte guerre, come in una spaventosa multisala, avvengono intorno a noi e molto vicino. Adesso (o tra poco) dopo l’inizio della vicenda libica, anche con noi.
La parola guerra, in questa strana fase della nostra storia viene pronunciata in tre modi diversi: con rabbia: “ecco dove ci avete portato: in guerra”. Con rimprovero: “ma non vi accorgete che siamo in guerra?”. Con pacatezza strategica: “ecco le nostre mosse, possiamo vincere, ma dobbiamo muoverci subito”.
La differenza di reazione e di umore, sia politico che popolare, sia di classe dirigente che di esperti d’informazione, si spiega col fatto, unico nel mondo moderno e contemporaneo, che ciascuno dei popoli, Stati e governi che possiamo immaginare come parte di questa concitato dibattito, sono coinvolti in molte guerre, quasi nello stesso luogo, quasi nello stesso tempo.
E c’è un’altro fatto nuovo e senza precedenti. Ciascuno dei partecipanti a questo rischio o esperienza di guerra, affronta spesso il paradosso di avere per nemico un alleato. E il contrario. L’esempio più clamoroso è la Russia. È un Paese amico che, se disturbato nelle sue guerre (che apre e conduce quando e dove crede), si fa trovare in tutte le altre, nei ruoli più sgradevoli e disturbanti, per esempio accanto ad Assad.
Volete un simbolo? La città di Aleppo, che resiste eroicamente (sacrificando il suo popolo a cui ha chiuso ogni via di fuga) tanto che potrebbe essere la Stalingrado del nostro tempo. Ma di quale guerra? Aleppo per metà è circondata dalle truppe di Assad che vogliono eliminare fino all’ultimo uomo i ribelli (che noi sosteniamo) e l’Isis (che noi combattiamo). E per l’altra metà è circondata dalle altrettanto spietate brigate che vogliono la testa di Assad e la conquista di Damasco (a costo della vita di tutta la gente di Aleppo) ma sono anch’essi nemici di Isis, per evitare annessioni e sottomissioni.
Aleppo subisce bombardamenti durissimi. Un giorno l’ospedale, con bambini e pediatri, viene centrato in pieno, forse per errore, da caccia-bombardieri americani che sganciano sul territorio giusto (sostenitori di Assad), ma sugli edifici sbagliati (popolazione civile e ospedali). Un giorno (o poche ore dopo) segue, quasi come se fosse la battuta di uno strano dialogo, la strage su obiettivi identici (ospedali, medici, bambini, famiglie) in un altro quartiere (nemici di Assad), e migliaia di civili vengono colpiti dai russi, per le stesse ragioni e con la stessa bravura.
Ma gli stessi protagonisti, nel senso di soggetti politici e anche di Stati e interessi e militari e servizi segreti e il seguito di informatori che intanto tradiscono (il mercato è ricco di offerte), compaiono in un teatro completamente diverso.
Non siamo più in Siria ma in Libia. In Libia tutti gli alleati della Russia (nel senso di rapporti amichevoli o necessari) sono con l’America, che bombarda una parte di Libia. E la Russia stessa, che potrebbe bloccare tutto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, (mandante dei bombardamenti) consente e dissente, come consentono e dissentono le parti di Libia che si chiamano fuori perchè hanno un altro esercito, e altre armi, fornite in tempi e modi diversi, dagli stessi Paesi che attaccano.
D’altra parte i bombardamenti dell’area di Sirte ci ricordano la clamorosa asimmetria di un grappolo di guerre in cui uno (aereo o “martire”) fa esplodere la sua bomba potentissima su una massa di gente estranea, creando una espansione gigantesca di dolore e paura, ma spostando nulla di ciò che serve a vincere o perdere una guerra.
Intanto entra nel gioco, con un peso enorme e squilibrante, la Turchia che, nella nuova e improvvisa veste di sultanato religioso, è amico di tutti (legami economici che non si possono rompere ) e nemico di tutti, perchè Erdogan non intende essere contraddetto.
E così, per distrazione, superficialità e mancanza di un disegno politico, siamo entrati nell’epoca infernale delle guerre a grappolo, che non hanno nè inizio nè fine.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 09/08/2016.
Rispondi