È di pochi giorni fa l’intervista di Matteo Salvini al “Financial Times” in cui il leader del Carroccio spiega il Noal referendum costituzionale e lo collega alla prospettiva di un’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Fin qui è il programma leghista e non c’è da stupirsi. Semmai meraviglia lo spazio che il quotidiano inglese offre al Nigel Farage italiano, da cui viene un elogio scontato alla Brexit. Lo stesso “Financial Times”, un paio di settimane fa, aveva definito “un ponte verso il nulla” la riforma di Renzi, sottraendosi al coro apocalittico dei mercati finanziari e di alcune agenzie di “rating”: tutti compatti, in apparenza, a difendere le tesi del Sì in nome della stabilità.
C’è quindi una dialettica interessante sul piano internazionale, proprio in parallelo con il viaggio del presidente del Consiglio negli Stati Uniti dove lo attende il suo grande sostenitore Obama. E di nuovo il quotidiano economico di Londra sottolinea gelido: l’accoglienza calorosa della Casa Bianca è “l’abbraccio a un alleato in difficoltà”. Il che non può essere negato: la stagnazione economica è un dato di fatto e inoltre i sondaggi in vista del 4 dicembre indicano una sostanziale incertezza. Chi aveva pensato mesi fa, all’inizio di questa estenuante campagna elettorale, che il Sì avrebbe vinto passeggiando, ha avuto il tempo di ricredersi.
Tuttavia anche il fronte del No sta vivendo giorni cruciali, soprattutto nel campo del centrodestra. La prudenza di Berlusconi è ormai evidente a tutti e non basta a mascherarla il ruolo di difensore d’ufficio del No affidato a Stefano Parisi. Il quale svolge con correttezza il suo discorso contro la riforma, senza però mai dare l’impressione di credere fino in fondo a quello che sta dicendo. Quanto all’elettorato berlusconiano – quel che ne resta -, di tanto in tanto si affaccia qualche quadro locale di Forza Italia e annuncia il voto favorevole alla riforma. Questo non segnala ancora l’inizio di uno smottamento a favore del Sì, ma indica che Berlusconi deve ritrovare la parola per dare al suo pubblico qualche direttiva più chiara. Il silenzio serve solo a incoraggiare Salvini, mentre, al di là delle colonne d’Ercole del centrodestra, finisce per alimentare il lago dell’anti- politica. Sappiamo peraltro che i grillini sono attraversati al loro interno da autentiche linee di frattura. È una battaglia di potere che si combatte fra i giovani “colonnelli” a colpi di maldicenza e non è più tanto sotterranea. Anche in questo caso il No al referendum serve a riunire ciò che tende a dividersi e a dissimulare una contesa politica che va oltre la data fatidica di dicembre.
Allo stato delle cose, il fronte del Sì è più compatto e soprattutto dispone di un leader indiscutibile. Il No è più frastagliato e i dubbi di Berlusconi ne accentuano la fragilità. Ecco allora che Salvini si prepara a giocare una partita che comincerà il giorno dopo il voto. Innanzitutto, il capo leghista punta a non regalare tutto il campo del No ai Cinque Stelle. E si capisce. Lasciando da parte il comitato di Massimo D’Alema e la composita compagnia da lui raccolta, resta il fatto che i grillini sono i più attivi nella campagna. Salvini prova a contendere loro lo spazio con un chiaro retro-pensiero: se il No prevale, sarà anche la vittoria di una Lega che potrà sedersi da vincitrice al tavolo del centrodestra, dove si dovrà designare il candidato premier per le elezioni politiche.
In altre parole, non sarà solo il successo del movimento anti-sistema alleato per paradosso con i nostalgici della Prima Repubblica. Ed è proprio questo scenario a preoccupare Berlusconi: la prospettiva di essere stretto in una tenaglia e di dover avviare con Salvini la trattativa fin qui evitata. Addirittura un Salvini preso sul serio dal “Financial Times”. Eppure anche in caso di vittoria del Sì – specie se striminzita – la Lega potrà giocarsi le sue carte.
Articolo intero su La Repubblica del 18/10/2016.
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