Andria, cinque in carcere e uno ai domiciliari per le condizioni di lavoro di seicento donne.
BARI – Poco più di due euro per un’ora di lavoro. Giornate trascorse, nei campi, sotto il sole, ma non retribuite. E ancora: pressioni e minacce per evitare ogni forma di ribellione. Era una vera e propria forma di sfruttamento quello a cui sono state costrette 600 braccianti, reclutate da un’agenzia interinale della provincia di Bari. «È il capolarato moderno» spiega il procuratore di Trani Francesco Giannella, commentando l’operazione della finanza e della polizia che ieri ha portato a sei arresti. Tra loro c’è l’ex datore di lavoro di Paola Clemente, la 49enne tarantina che, il 13 luglio del 2015, in una giornata di afa asfissiante, morì stroncata da un infarto mentre lavorava all’acinellatura dell’uva nelle campagne di Andria.
Sul decesso della bracciante l’indagine è ancora in corso, ma la tragedia di Paola, la denuncia del marito che raccontò di come la moglie percepisse 27 euro al giorno, richiamarono l’attenzione sul fenomeno del «caporalato moderno». Da qui l’inchiesta della procura, che nacque come si legge nell’ordinanza di custodia dopo un ‘inchiesta di
Repubblica, e c he si basa anche e soprattutto sulle dichiarazioni delle braccianti che erano impiegate con Paola Clemente e che hanno raccontato delle estenuanti giornate di lavoro sotto i tendoni dell’uva tra Andria e Taranto.
«Tu credi veramente di poter prendere in giro la povera gente? Noi lavoriamo per vivere » scrive in un messaggio una delle braccianti a Ciro Grassi, titolare dell’azienda dei pullman. «Parole — scrive il gip Angela Schiralli — che rendono l’idea della disperazione e rabbia con la quale i lavoratori erano costretti a supplicare per ottenere quanto loro dovuto». Le braccianti avrebbero dovuto percepire 86 euro al giorno e non poco meno di 30.
Articolo intero su La Repubblica del 24/02/2017.
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