Da Fincantieri e Ferrovie fino a Termini Imerese: la via crucis delle aziende, il baratro dei disoccupati.
Cronache da un paese sbriciolato. Non solo Fiat, Fs e Fincantieri, il panorama italiano che emerge dai tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico è quello di un arcipelago vastissimo che crolla sotto il peso del lavoro che vola via. Da Nord a Sud, dall’acciaio alle telecomunicazioni, il 2012 che si apre rischia di essere peggio del 2011 appena trascorso. Gli ultimi dati, forniti dal Centro studi di Confindustria parlano di 230 stati di crisi seguiti dal ministero ora presieduto da Corrado Passera. Crisi aziendali più o meno risalenti nel tempo che riguarderebbero circa 300 mila dipendenti, 40 mila dei quali a rischio immediato di licenziamento.
Non è facile districarsi tra casse integrazioni in scadenza, mobilità in avvio, amministrazioni straordinarie, trattative per un passaggio di mano e chiusure definitive. Quel che è certo, tuttavia, è che i numeri di Confindustria peggiorano quelli diffusi poco più di due mesi fa dalla Cgil. A fine novembre, infatti, uno studio del maggiore sindacato italiano censiva 191 casi dal 2008, l’anno zero della crisi: “La cosa che più preoccupa – dichiara Giorgio Airaudo della Fiom – è che nonostante gli annunci nemmeno uno è stato veramente risolto”. Nel solo 2011 negli uffici del ministero si sono tenuti 122 incontri tra le parti sociali (praticamente uno ogni tre giorni) per affrontare le crisi di una novantina di aziende. E risalendo fino al gennaio 2008, il conto dei “verbali di riunione” del Dipartimento per l’impresa arriva a 530.
La lista dei principali settori coinvolti è guidata dall’automotive, con 29 tavoli aperti, da quello ormai chiuso dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, dove 1.312 operai attendono ora l’annunciato piano industriale dell’imprenditore Massimo Di Risio che dovrebbe rilevare l’impianto, a quella dell’Irisbus Iveco (gruppo Fiat Industrial) in Valle Ufita (Avellino) con 628 lavoratori in cassa integrazione straordinaria per due anni a partire dal 1 gennaio.
Segue il settore telecomunicazioni, con 24 vertenze aperte. Tra queste l’ormai risalente Agile ex Eutelia, ex colosso dei call center. La Tbs telematic di Trieste ha formulato un’offerta d’acquisto che però salverebbe soltanto le sedi di Ivrea, Milano, Roma e Bari. Niente da fare per Torino, Bologna, Padova, Firenze, Napoli, Avellino e Rende. Dal piano di rilancio rischiano di rimanere fuori 800 lavoratori. Terzo classificato, con 20 tavoli di crisi, il chimico, settore in cui rientra la lotta della Vynils (futuro in bilico per Marghera, probabilmente nessun domani per Porto Torres). La crisi morde anche il settore tessile (16 vertenze) e non risparmia nemmeno i giganti, come la Miroglio di Alba, che ha comunicato a venti impiegati degli uffici del centro direzionale un anno di cassa integrazione a partire dal 1 gennaio.
Seguono, nella triste classifica della crisi, il settore elettrodomestici (10 vertenze), alluminio non ferrosi (sette), ferrovie (sei, tra cui quella dei lavoratori Wagon-Lits ancora mobilitati) e siderurgico (quattro). Capitolo a parte per la navalmeccanica, in sostanza Fincantieri. Il recente accordo con i sindacati (Fiom Cgil esclusa) che prevede esuberi per 1.243 lavoratori e nessuna certezza per gli stabilimenti di Castellammare di Stabia e Sestri, non soddisfa i lavoratori, come quelli di Palermo (cassa integrazione per 470) scesi in piazza ieri per le vie del capoluogo siciliano.
Ma a elencare tutte le realtà produttive a rischio sopravvivenza, non basterebbe il volume di un’enciclopedia: Omsa, Golden Lady, Nuova Pansac, Gambro, Alcatel, Xerox, Itierre, Valtur, Sigma Tau, Vibac, Airone Technic, Jabil, Lyondell Basell, Datalogic, Corden Pharma, Ciet… Nomi e numeri dietro ai quali si nascondono storie di donne e uomini in carne e ossa ai quali, oltre al danno della perdita del lavoro, non sarà nemmeno risparmiata la beffa del sapere che il 2012 è stato proclamato “Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni”. Sembra uno scherzo. Non lo è.
Da Il Fatto Quotidiano del 03/01/2012.
Perchè in questa triste lista non c’e’ la vertenza Miroglio tessile di Ginosa (Ta) ? Con i suoi giovani 225 operai che a marzo 2009 come Termini Imerese cessano l’attività con la promessa della riconversione e invece a fine Gennaio 2012 finiremo licenziati
Sono un operaio della miroglio di Ginosa (ta), da febbraio sarò in mobilità grazie al sig: Miroglio, perchè non parlate anche del nostro stabilimento nel vostro articolo? Vi ringrazio anticipatamente. Abbiamo una pagina su facebook “MIROGLINI” visitatelo.
I lavoratori della Miroglio di Ginosa sono indignati, siamo 225 famiglie appese ad una speranza, quella del lavoro, noi al sud non vogliamo assistenzialismo ma lavoro. Il nostro padrone leghista prima ha speculato su di noi attingendo finanziamente pubblici poi ci ha dato un calci nel di dietro, come fanno tutti i grandi imprenditori, se mi permettete “falsi imprenditori”, perchè chi non scommettecon il suo per il futuro è solo un falso, come i suoi capi di abbigliamento che vengono prodotti in Cina e in altri paesi del terzo mondo e poi vengono venduti nei suoi negozi, vedi ELENA MIRO, CARACTER , MOTIVI, ed altri a prezzi esorbitanti. Attenzione caro Miroglio voi siete nati come produttori di tessuto, no come commercianti, quando la gente si renderà conto dell’imbroglio ” FALLITRETE”.
abbandonare gli stabilimenti di ginosa e castellaneta è stato un atto barbarico da parte di miroglio !!!!!! dopo aver gudagnato e straguadagnato usando i soldi pubblici !!!!! ma ancor peggio è stato abbandonare 224 dipendenti ormai in mobilità!!! non ho nulla da chiedere ormai al sig.miroglio!!! il suo progetto è noto a tutti!!! la giustizia farà il suo corso !!! affinchè avrà un azienda attiva !!!!
” UN MIROGLINO “
Sono un dipendente della FILATURA E TESSITURA DI PUGLIA di GINOSA (TA),uno stabilimento che era sempre stato definito “STRATEGICO” dalla MIROGLIO,infatti lo hanno chiuso nel 2009,lasciando a casa con la promessa di una ricollocazione mai avvenuta 225 dipendenti al di sotto dei 40 anni,che sfortunatamente dopo quasi tre anni di cassa integrazione,sono prossimi alla mobilità!!!!Dopo aver fatto utili da paura,grazie a chi gli ha dato “TROPPA DISPONIBILITA’ ” facendo rese produttive mai viste ad ALBA,grazie a noi si risollevati dalla crisi,che nel 1996 attanagliava il GRUPPO MIROGLIO !!!!
Spero che lo STATO ITALIANO o L’UNONE EUROPEA chiedano la restituzione dei 90 milioni di euro,che furono “REGALATI” alla MIROGLIO nel 1995!!!
oltre ai 20 impiegati del centro direzionale della miroglio di Alba che andranno in cassa integrazione,bisognerebbe informarsi che ci sono invece 225 dipendenti della stessa Miroglio Tessile ma di Ginosa nella provincia di Taranto che da febbraio andranno in mobilità grazie alla strategia di mercato del sig.Giuseppe Miroglio.I 225 dipendenti di cui io faccio parte hanno tutti la media dei 40 anni e dopo aver lavorato in questo grosso gruppo “SERIO” per soli 13 anni in uno stabilimento costruito con fondi statali(circa 180 miliardi di lire) sono stati messi da fuori agli stabilimenti(dalla mattina alla sera)il 5 marzo 2009 con la promessa di una riconversione che ad oggi 7 gennaio 2012 ancora non c’è e credo ormai che mai ci sarà.