È difficile farsi una ragione di come lo strepitoso disincanto dei romani lasci il posto, quando si parla di calcio, a una suscettibilità nevrastenica. Credo che nemmeno in Sudamerica esista una capitale nella quale decine di radio private parlano tutto il santo giorno di pallone, con toni tra l’estatico e il minaccioso, come tante Radiomarie che consacrano le loro giaculatorie alle due fedi locali, giallorossa e biancazzurra, senza mai chiedersi se ne vale la pena.
L’ultimo ridicolo episodio riguarda (anche per sua responsabi-lità) Antonello Venditti, colpevole di avere detto che la Roma lo ha deluso, errore grave in una città dove il calcio è sacro come le mucche in India. Le budella romaniste si sono attorcigliate per lo sdegno, striscioni sovreccitati sono stati appesi sotto casa sua, polemiche sbracate hanno percorso l’Urbe. Pare che sia in discussione (addirittura!) la legittimità dell’esecuzione di “Grazie Roma” all’Olimpico. Non vorrei buttare benzina sul fuoco: ma in effetti, “Grazie Roma”èunacanzonetroppobellaperesserel’innodiunasquadra. Gli inni delle squadre di calcio (a partire da quello, veramente orribile, della mia Inter) devono essere, per definizione, goffe marcette con un testo sciocco. Così che ognuno si ricordi, sempre, che il tifo ci rende felici e cretini. Non ha altro compito. Felici e cretini.
Da La Repubblica del 05/07/2013.
L’ha ribloggato su .
Guarda Michele, che non è Grazie Roma l’Inno della Roma, e non è quella la canzone in discussione, ma bensì Roma nun se discute, si ama, che trasmettono prima delle partite all’Olimpico
Grazie Roma non è l’inno della Roma.