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Posts Tagged ‘michele serra’

Nel pittoresco pacchetto chiamato “centrodestra” è scontato dover registrare porcherie razziste e fasciste di vecchio e nuovo conio.
Si va dalla forzista Roccella che vuole abrogare le unioni civili perché rappresentano «la fine dell’umano», alla sindaca leghista di un paesino del Varesotto (una sorridente signorina) che nel Giorno della Memoria ricorda ai gay di «pijarlo in culo», alle famose esternazioni del presentabile Fontana in difesa della «razza bianca». Va beh, li conosciamo, bastava cinquant’anni fa leggere il Borghese, oggi il Giornale, per apprezzare la continuità ideale.
Il fascismo non è, nella storia italiana, un incidente.

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Quello che scrive il premio Nobel Krugman (Repubblica di ieri) a proposito della “distanza che si è prodotta tra la destra e gli americani di elevata istruzione” è applicabile anche alle società europee. E se è vero che, come dice Krugman, “abbracciare l’ignoranza” non è stata la conseguenza di una discriminazione subita, ma il frutto di una scelta rivendicata in favore di millantati “sentimenti popolari” e contro il cosiddetto establishment intellettuale, questo significa che la discussione sull’egemonia culturale della sinistra andrebbe ribaltata.

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Non è escluso che anche l’albero Spelacchio diventi un caso giudiziario, in conseguenza del recente interessamento dell’Autorità anticorruzione.
Particolarmente impressionante è scoprire che, tra le norme e i princìpi di rettitudine violati per l’occasione, ci sia anche “l’obbligo di rotazione” per la fornitura di abeti natalizi, oppure per il loro accudimento e annaffiatura, non si capisce bene. Cioè: nel caso la ditta Abeti&Betulle fornisca un ottimo servizio, l’anno dopo dovrà comunque cedere il passo alla ditta Betulle&Abeti, a sua volta da rimpiazzare dodici mesi dopo, quando arriva il turno della Pino Corporation?

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SE L’ITALIA si fosse qualificata, Carlo Tavecchio sarebbe ancora al suo posto. Sarebbe la stessa persona, con le stesse idee, la stessa mentalità, lo stesso modo di esprimersi. Ma gli sarebbe bastato un gol — come agli azzurri — per rimanere a galla.
L’incidentalità delle sue dimissioni rischia di farne il classico capro espiatorio, ovvero di assolvere, grazie alla sua cacciata, il famoso “movimento” che lo ha eletto capo, a immagine e somiglianza dei dirigenti e dei presidenti del calcio italiano.

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SI LEGGE con qualche trepidazione l’alluvione di racconti e sfoghi di donne violate seguita al caso Weinstein (non si parla d’altro; il Rosatellum scivola dalle prime pagine scalzato dal Porcellum quello vero: il maschio di potere che si sente autorizzato a riscuotere sesso in cambio di lavoro). Non sempre i media garantiscono, nella quantità, la qualità, e dunque si teme che la mitomane, la furba, l’esaltata rubino la scena alle vittime vere. Con qualche eccezione, invece, il racconto malinconico prevale sul j’accuse furibondo, e la riflessione sulla rabbia. Non per fare del femminismo a buon mercato, ma c’è poca ideologia e molto vissuto, nel racconto delle donne: ed è questo che lo rende credibile.

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CON largo anticipo rispetto ad altre vigilie, si comincia già adesso a chiedersi per chi diavolo si potrà votare senza poi perdere il sonno per il rimorso. In genere questo presagio (sbagliare voto; oppure sprecarlo) cominciava a manifestarsi a poche settimane dalle elezioni. Ora è già vivo, precocissimo, mesi prima della fatidica domenica, grazie al gramo spettacolo parlamentare e allo sgangherato contrappunto che ne fa la piazza di fronte. E chi rifugge dall’astensionismo come da una malattia si domanda come diavolo fare, questa volta, per non ammalarsi, per non disertare un’occasione che fu per tanti, in gioventù, festosa e doverosa al tempo stesso.

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“UN arrocco di forze politiche spaventate”, scrive Ezio Mauro a proposito del colpo di mano sul Rosatellum. Andando a ritroso nel tempo non è facile stabilire quanto lunghe siano, le radici di questo arrocco: è materia anche tecnica, per politologi e costituzionalisti. Ma ogni cittadino appena informato ha la sensazione che la politica italiana sia “spaventata” da molto, moltissimo tempo. Spaventata dagli elettori ma forse soprattutto da se stessa, dall’impotenza malata che le ha impedito, per più legislature, di dotarsi di una legge elettorale decente; dunque di governi che fossero legittimati non solamente dalle procedure e dagli aggiustamenti di Palazzo, ma persino da una vittoria elettorale… (altro…)

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PORRE la fiducia sulla legge elettorale è una schifezza, e dunque si capisce che il deputato Di Battista, uscito dalla bolgia di Montecitorio, si rivolga alla bolgia antistante, quella di piazza Montecitorio, per arringare la folla. Salvo ritrovarsi di fronte non una coorte compatta di indignati; ma un cocktail di urla e insulti che pareva riflettere, pari pari, l’incapacità dell’odiato Palazzo di trovare, come direbbe Vasco, «un senso a questa vita».
Non chiara, stando alle cronache, la composizione dei tumultuanti. C’è chi dice militanti dei Forconi guidati dal generale Pappalardo (?); chi imprecisati “leghisti”; chi i No vax, che non si capisce bene che accidenti c’entrino con la legge elettorale; chi grillini delusi, ma non è chiaro da cosa.

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LA PROPOSTA del Comune di Genova e del suo assessore leghista alla Sicurezza di far pagare la tassa di soggiorno ai circa 2500 profughi attualmente in città, ha l’evidente torto di rinverdire uno sterminato e monotono repertorio di barzellette sul ligure tirchio, molto attento (solo nelle barzellette, per carità) alle palanche, meno all’amabilità con i “foresti”. Ma almeno un merito ce l’ha, anche se la natura di questo merito probabilmente sfugge all’assessore: chi impone doveri, specie un dovere quantificabile come una tassa, è poi tenuto a ragionare sui diritti (e viceversa). Le tasse sono da sempre una specie di biglietto d’ingresso nella Polis. Chi le paga, è cittadino. Chi non le paga (come tanti italiani) no.

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SPIRA un’arietta antica, a sinistra, e familiare: come quando dai cassetti delle zie sbucano le vecchie cartoline di Rapallo, e l’odore di cipria un po’ rappresa, e quei fermagli per capelli che prima o poi torneranno di moda. Ah la scissione, ah la lite ferale, ah l’acre incomprensione, ah la goffa mediazione, ah il governo che collassa: ci vorrebbe Guido Gozzano per farci memoria di quanto, della nostra lunga storia, queste care abitudini siano oramai la tappezzeria. “L’amaro eppure dolce detestarci / con qualche tweet, qualche parola ostile / uguali a quando, per prenderci e lasciarci / bastavano l’inchiostro e il ciclostile”.

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CHE rapporto c’è tra una identità nazionale inventata, sprovvista di lingua unitaria e storia unitaria, malvista dalla grande maggioranza della popolazione locale (la Padania); e una identità nazionale vera, fondata su una secolare unità storica e linguistica, fortemente voluta dalla grande maggioranza della popolazione (la Catalogna)? La risposta è facile: nessun rapporto. Eppure vedrete che spunteranno come i funghi, gli accostamenti e gli apparentamenti propagandistici, e sulla scia dei gravi e importanti avvenimenti iberici ci sarà chi cerca di cavarne qualcosa anche nel proprio orticello, per esempio dare più lustro ai poco significanti “referendum per l’autonomia” convocati in Lombardia e Veneto.

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MAI allearsi con il Pd di Renzi, perché «con la sinistra non c’entra nulla». Se poi dalle urne uscisse una poltiglia informe, niente di grave: si potrebbe fare un bel «governo del presidente». È la sintesi (mia) del pensiero di Massimo D’Alema. Ci si domanda, a questo punto, che cosa avrebbe invece “di sinistra” un governo del presidente, ovvero l’ennesimo accordo di palazzo che escogiti l’ennesimo governo di cosiddetta “emergenza istituzionale”, ribadendo, nei fatti, la sostanziale inutilità del voto popolare: perché non esiste nessuno — destra, sinistra o centro — che vada a votare per un “governo del presidente”.  (altro…)

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SI CAPISCE che la Germania è la Germania, e dunque il massiccio ingresso (per la prima volta) dell’estrema destra nel Bundestag, nazisti e negazionisti compresi, è una novità che lascia il segno. Ma la democrazia dovrebbe avere un poco più di fiducia in se stessa e mantenere i nervi a posto, cominciando con un esercizio piuttosto facile: fare un po’ meglio i conti.
Con tutto quello che, aggiungendosi a una prolungata crisi economica, la grande ondata migratoria ha comportato in Europa, vuoi in termini di impatto reale vuoi in termini di isteria politico-mediatica; e anche alla luce dello stillicidio di attentati islamisti, e della conseguente islamofobia e xenofobia; il 12,6 per cento dell’Afd è da considerarsi un prezzo fisiologico da pagare.

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UN EXTRACOMUNITARIO, ospite nel nostro Paese, ha ricevuto il foglio di via perché ha la cattiva abitudine di mangiare nei ristoranti senza pagare il conto. Il fatto che sia norvegese e biondo, come quasi tutti i norvegesi, non muta di una virgola la sua qualifica di scroccone seriale. Non è un’aggravante, non è una scusante. Così come non è una scusante né un’aggravante, per uno stupratore, essere di Latina (è stato arrestato in un villaggio turistico del Salento). In termini di diritto, e anche di logica, è ugualmente irrilevante il fatto che la sua vittima fosse una ragazza italiana. Il crimine non sarebbe stato più grave né meno grave se la stuprata fosse stata senegalese o cambogiana o inglese.

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SI capisce che la sete di Roma faccia scalpore, perché è la capitale e perché è una città che appartiene al mondo. Ma altri italiani, da molti mesi, specie su al Nord, aspettano le autobotti (e le pagano) per rifornire acquedotti e pozzi disseccati; e vegliano su laghi ridotti a scodelle di argilla crepata, e fiumi morenti, e maledicono le belle signorine del meteo che annunciano imperterrite, inconsapevoli, “un’altra magnifica giornata di sole”.

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DOPO dieci anni — che sono tanti — di deperimento, l’annunciata ripresa economica è da salutare con sollievo per almeno due ragioni. La prima è ovvia: finisce una crisi molto dura, anche psicologicamente, e non equamente ripartita, feroce soprattutto con i ragazzi e le categorie meno garantite. La seconda è che avremo finalmente la risposta a una domanda che ci siamo posti, in questi dieci lunghi anni, molto spesso. La domanda è questa: i contratti a termine che scadono più in fretta dello stracchino, il precariato istituzionalizzato, i salari di vergognosa pochezza sono legati alla congiuntura negativa e alla penuria, oppure sono strutturali, conquista definitiva del neocapitalismo?

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TURBATO dai fatti di Charlottesville un prete cattolico della Virginia, William Aitcheson, ha confessato pubblicamente i suoi trascorsi nel Ku Klux Klan. Prova vergogna, chiede perdono e richiama tutti «alla pace e alla misericordia». Della pace già sappiamo: è quella disperata ambizione alla concordia che la ferocia e l’avidità umana rendono così spesso irrealizzabile. Quanto alla misericordia, la Treccani lo definisce “sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla”. Pur essendo un concetto tipicamente evangelico (e prima biblico), è accessibile a qualunque essere umano, indipendentemente dal livello di istruzione.

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TRA le tante corbellerie che diventano “virali”, il breve video della ragazza saudita che cammina in minigonna, sola e pensosa, in mezzo ai vecchi muri del suo antico Paese, merita invece miliardi di clic. Perché descrive in pochi secondi, con la composta evidenza di un capolavoro involontario, esattamente il punto in cui siamo, e proprio quello: o vince lei, e può continuare a camminare, o perdiamo tutti. Non sono le piccole leggi saudite, in ballo, e nemmeno il solo corso dell’Islam; è il cammino dell’umanità, il suo sortire (oppure no) dal patriarcato, il suo concedere (oppure no) proprietà di se stessa alla metà abbondante degli umani. Le femmine.

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SE UN deputato può dare pubblicamente della “testa di circonciso” a un suo avversario politico ebreo, perché un modesto gestore di spiaggia dovrebbe farsi degli scrupoli quando invita all’altoparlante a «sterminare i tossici »? Le leggi servono (compresa quella contro l’apologia del nazifascismo, che come ben sanno i bagnanti di Chioggia è apologia dello sterminio), ma il vero problema è la contagiosa perdita di peso della parola, usata con la leggerezza del rutto anche quando ha la pesantezza del sasso. Massimamente sui social (vero, onorevole Corsaro?) che sono la dinamo inesauribile del deperimento verbale, ma anche sui giornali, in televisione, sulla scena pubblica, si tira a parlare così come si tira a indovinare. O la va, o la spacca.

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IL GIORNALISMO serve ancora a qualcosa, se è stato un articolo su Repubblica (Paolo Berizzi lavora da anni sul tema, con coraggio e costanza) a rendere pubblica l’esistenza di una “spiaggia fascista” a Chioggia, con tanto di faccioni del Duce, comizi razzisti del gestore, spiritosaggini sulle camere a gas. Certo, trattandosi di una spiaggia (concessione demaniale) e non di un club privato, avrebbe già dovuto essere ampiamente “pubblico”, quel lido littorio con le sue parole d’odio contro “i tossici” e le “persone di merda” in generale. Ma così non è stato.

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