UNA RAGAZZA di sedici anni viene trovata morta su una spiaggia siciliana, di notte. I due amici che ne avevano segnalato il malore si sono poi dileguati.
SI COLLEGA questa vicenda a quelle, recentissime, di due ragazzi stroncati da imprecisati intrugli chimici, o chimico-alcolici, in Romagna e in Puglia.
In realtà di queste morti sappiamo poco, così come sappiamo poco delle vite che le hanno precedute. E continuiamo a saperne poco anche quando l’autopsia o le indagini certificano che sì, è stata una morte per droga. C’è un momento della vita — l’adolescenza — illeggibile da chiunque non ne sia protagonista. Non che la lettura che ne danno gli stessi adolescenti sia molto più chiara o autorevole o credibile.
Se lo fosse, sarebbero meno esposti al rischio di farsi del male e all’impressionante scialo di se stessi che l’uso di stupefacenti e di alcolici implica, specie quando si è ancora così acerbi.
Ma se c’è una cosa che rende perfino più precario e fragile il rapporto tra i ragazzi e il resto della società è il facile moralismo (la cui forma verbale è una insopportabile retorica) con il quale gli adulti si accostano a questo genere di tragedie. I ragazzi detestano quasi tutte le parole che usiamo spendere su di loro, e anche per questo leggono sempre meno e guardano sempre meno i telegiornali. Per giunta, molto spesso, alle parole preconfezionate si aggiunge una rumorosa litigiosità pubblica: su come si educa o non si educa; su come si reprime o non si reprime; in genere con un’ansia di punizione, per giunta tardiva, che è rivolta soprattutto a rassicurare se stessi e a dare sollievo ai propri rimorsi di genitore o di educatore o di politico.
Nell’impossibilità concreta di dire e di fare, in quattro e quattr’otto, qualcosa di sensato (ci sono terapeuti e psicologi che passano la vita a occuparsi di queste cose; e sono i primi a dire che non esistono ricette da spacciare), varrebbe forse la pena di farsi qualche domanda, più che sulle tare dell’adolescenza, su quelle della nostra vita sociale nel suo complesso. Per esempio sul dilagare pauroso delle dipendenze, tutte quante, ovvero l’incontrollata delega del proprio benessere, spesso anche della propria identità di persone, a sostanze o abitudini che diventano padrone incontrastate di milioni di vite: e non stiamo parlando solo dei ragazzini.
Le porcherie che girano ovunque, così capillarmente che parlare di “spacciatori” è una imprecisa scorciatoia giudiziaria per definire un traffico oramai anche del tutto amichevole, perfino di cortesia, dicono che l’argine della diffidenza verso gli eccessi è travolto da tempo. La misura e la cura di sé sono le sole possibilità di scampo e di guarigione che la società adulta potrebbe offrire ai più giovani, se non come valore assoluto, almeno come metodo alternativo all’ingordigia e all’indigestione (di tutto) come regola.
Articolo intero su la Repubblica del 11/08/2015.
Siamo ancora al conosci te stesso!
Ma la scuola preferisce insegnare elettrotecnica e meccanica a 14 anni…per i padroni.
Spero che nessuno vorrà contraddirmi; io ne so qualcosa. E ho 78 anni.
Si vede dallo stato delle scuole e dal livello degli stipendi ai professori come è tenuta in conto l’educazione in Italia.
paese allo sbando.