Mesi fa l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina militare, visita una caserma pugliese, la trova piena di erbacce ad altezza uomo e fa una battuta sarcastica: “Se non bastano i soldi per falciare i prati, potete comprare delle caprette”. Anziché farsi una risata e darsi da fare, i sottoposti lo prendono sul serio e almeno due caserme acquistano interi battaglioni di capre e montoni: nella base di Grottaglie (Taranto) optano per quelle di razza tibetana, mentre a Venezia scelgono quelle alpine. E i marinai, addestrati a navigare, si improvvisano pastori d’alta montagna. Senza contare che, oltre a brucare l’erba in eccesso (ma non solo: pretendono pure il mangime), le simpatiche bestiole sporcano (chi lo spala il letame?), vagano in ogni dove e, soprattutto, incornano. Specie se costrette e vivere all’addiaccio, senza un riparo per la pioggia.
Una rimane incinta e comincia a belare perché nessuno la munge. E poi un’infinità di problemi sanitari: vaccinazioni, certificati, registrazioni, analisi. Lo fa notare un militare preposto alla salute sul lavoro dell’Istituto di studi militari marittimi in una email al comandante e ai colleghi: “Rientrato dalla licenza ho appreso che in arsenale erano state destinate due capre e un montone come manutentori delle aree verdi. Ho subito pensato a uno scherzo. Invece, con mio stupore, era proprio così”. Il comandante gli appioppa tre giorni di consegna di rigore per “violazione delle funzioni attinenti al grado” e rivelazione di “segreti militari”.A questo punto interviene il Movimento Diritti dei Militari, che prepara un dossier “sull’uso delle punizioni nelle Forze armate” e minaccia di “portare il caso in Parlamento”. Mai fare battute, nel Paese dove anche le cose più serie diventano subito ridicole. Qualche settimana fa ci venne la malaugurata idea di paragonare Ignazio Marino a Paul Deschanel, il pirotecnico presidente francese rimasto in carica solo sette mesi nel 1920 perché faceva il matto, passava le giornate appollaiato su un albero del parco dell’Eliseo, nuotava nel laghetto con le papere, pescava le carpe con le mani, cadeva dai treni, firmava le leggi con la N di Napoleone o la V di Vercingetorige, riceveva gli ambasciatori nudo col cordone della Legion d’Onore, finiva i discorsi in piazza e se la folla lo applaudiva glieli rileggeva daccapo. Marino ci ha subito presi quasi in parola. Scaricato dal suo partito, cioè da Renzi, ha annunciato le dimissioni retrattili,facendo sapere di avere venti giorni per ripensarci.
Poi ha giurato che le dimissioni erano irrevocabili. Poi è andato in Procura a disconoscere la sua firma sotto i giustificativi delle cene “istituzionali” smentite da ristoratori e commensali: certificazioni che l u i s t e s s o a v e v a e s i b i t o quand’era scoppiato lo scandalo, mettendo la testa sul tagliere. Poi s’è affacciato alla balaustra del Campidoglio, urlando ai fans “non vi deluderò” (tre volte). Poi ha dichiarato che la sua giunta va avanti perché non ha mai lavorato così bene.E ieri l’ha riunita,lasciando ancora in sospeso la revoca delle dimissioni che potrebbe scattare domenica notte, in extremis, con un clic sul computer. Ma la stessa sindrome di Deschanel ha colpito il Pd, nella persona del presidente nazionale e commissario romano Matteo Orfini: sempre più smunto e gracile,ridotto a larva umana, il Matteo minore continua a ripetere che Marino è un capitolo chiuso, ma senza far nulla per chiuderlo. Ha tentato di far firmare ai 19 consiglieri comunali Pd un’ingiunzione di sfratto al sindaco, ma quelli, ben sapendo che andrebbero a casa anzitempo anche loro senz’alcuna garanzia di tornare, gli han fatto ciao-ciao con la manina. Ha dimissionato gli assessori renziani Causi ed Esposito, ma ieri il secondo era regolarmente in ufficio e il primo, che è pure vicesindaco, ha financo partecipato alla giunta da cui si era dimesso.Poi ha invitato tutti a casa sua. Cioè a casa Cupiello. Un sindaco eletto direttamente dal popolo è un po’ più difficile da rimuovere della direttrice dell’Agenzia delle Entrate:ci vorrebbero una mozione di sfiducia o le dimissioni firmate da almeno 25 consiglieri, cioè un’alleanza tra Pd e pezzi di opposizione (di destra o di M5S) per cacciare il sindaco Pd che ha vinto le primarie Pd e poi le elezioni col Pd. Ma perché poi? Nel casino generale, nessuno se lo ricorda più.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 29/10/2015.
Marino ridicolo, il suo partito ancora peggio.