Campania.
I pm: in cambio di una sentenza favorevole sulla Severino fu costretto a promettere un posto da dirigente al marito del magistrato.
ROMA – Era l’unico modo per rimanere in sella. Un patto “criminoso” stretto tra politica e magistratura. Obiettivo: sventare gli effetti della legge Severino sulla poltrona del governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Un clamoroso episodio corruttivo. A leggere le contestazioni avanzate dalla Procura di Roma, si può sintetizzare così. Se non date un posto importante da dirigente sanitario per mio marito, può arrivare un provvedimento sfavorevole per il neo presidente della giunta.
Sette indagati. L’esplosivo caso giudiziario travolge De Luca e il giudice del Tribunale civile di Napoli, Anna Scognamiglio, relatore dell’ordinanza che effettivamente, lo scorso luglio, confermò lo stop della sospensione, lasciando De Luca al vertice del Palazzo, dopo la prima sospensione inflitta da Roma per effetto della normativa anti- corruzione. È una bomba che può inguaiare lo “sceriffo salernitano”, e la sua legislatura appena avviata, ben più di quella legge che si voleva sabotare a ogni costo. Intercettazioni, incontri, scambi e minacce riempirebbero le centinaia di pagine di un’inchiesta coperta dal più totale riserbo: almeno fino a quelle perquisizioni, eseguite alla presenza di uscieri e funzionari della Regione, dalla squadra Mobile di Napoli.
De Luca, la giudice Scognamiglio, e il marito di lei, Guglielmo Manna, avvocato e funzionario della sanità in cerca di incarico più prestigioso, finiscono iscritti nell’indagine romana che in tutti i modi, nelle ultime ore, a Palazzo Santa Lucia di Napoli, hanno provato a nascondere. L’accusa avanzata dai pm Giorgio Orano e Corrado Fasanetti, con il coordinamento del procuratore capo Giuseppe Pignatone è «corruzione per induzione». L’ipotesi si riferisce all’articolo «319 quater, comma primo e secondo», ed è il reato introdotto dalla recente riforma che punisce, oltre al pubblico ufficiale che minaccia o abusa (in questo caso, il magistrato) anche il “concusso” di un tempo (nel nostro caso, il governatore): qualora quest’ultimo diventi «concorrente necessario del reato», colui che aveva la possibilità di reagire e ha scelto di non farlo, per «promettere o dare utilità».
Ma nella rete degli inquirenti finiscono soprattutto i presunti «intermediari »: il salernitano Nello Mastursi, capo della segreteria politica di De Luca, e tuttora responsabile dell’organizzazione del Pd regionale, l’assistente dai modi spicci (prese a calci alcuni giornalisti di una troupe a ridosso dell’elezione del leader) già sentito a Salerno come testimone nell’inchiesta sulle tessere gonfiate del Pd; gli avvocati collegati al mondo della Sanità napoletana Gianfranco Brancaccio, Giorgio Poziello e Giuseppe Vetrano, ex coordinatore delle liste a sostegno del presidente.
Carte che si annunciano deflagranti. Al telefono sembra che Manna, marito del magistrato, parlasse liberamente. Soprattutto di quell’ordinanza che sua moglie stava per scrivere. Sono le voci, captate nel corso di apparentemente banali intercettazioni, e poi subito passate alla Procura di Roma (competente per i reati commessi dalle toghe di Napoli). Ma filtra tutto da un decreto di perquisizione notificato lo scorso fine settimana a Mastursi. La squadra Mobile cerca atti e documenti sia negli uffici della Regione, sia a casa di Mastursi, sia all’ospedale Santobono di Napoli dove lavora Manna. Sembra che in una delle conversazioni agli atti, siano stati registrati anche altri personaggi vicinissimi al governatore: tra cui uno dei suoi due figli, tuttora lanciati in politica e non indagati. Le attività di acquisizione vanno avanti per almeno venti giorni. A Palazzo Santa Lucia, però, si fa finta di niente.
Ma la prima crepa arriva lunedì scorso, quando Mastursi, l’energico braccio destro di De Luca, si dimette improvvisamente. È un fulmine a sorpresa che viene liquidato, ai piani alti, come «scelta personale», l’impossibilità per Mastursi di svolgere il doppio ruolo di capo della segreteria e responsabile dell’organizzazione Pd. Non solo: in serata arriva addirittura una nota ufficiale in cui «la Regione ringrazia il dottor Mastursi per la collaborazione e il lavoro intensissimo di questi mesi».
Ma un altro pezzo del suo “lavoro” svolto in questi mesi, è l’atto della Procura a svelarlo. Scrivono i pm: la giudice «Scognamiglio, magistrato presso il Tribunale civile, e giudice relatore nella fase di merito del ricorso intentato dal governatore» sugli effetti della Severino, «in concorso con il marito Manna, e con gli intermediari Poziello e Brancaccio, minacciava De Luca per il tramite di Vetrano, e di Mastursi, di una decisione a De Luca sfavorevole da parte del Tribunale, con conseguente perdita della carica ricoperta». Chiosano i magistrati nel decreto: «Reato commesso in Napoli dal luglio al settembre 2015». Il magistrato Scognamiglio, raggiunto da Repubblica, commenta solo: «Sono completamente estranea ai fatti. Se qualcuno, a mia insaputa, ha speso il mio nome, non ne ho alcuna responsabilità. Sono serena, e confido che la giustizia farà presto piena luce sulla verità dei fatti».
L’indagine segue, di fatto, parallelamente l’intera sequenza amministrativa della vicenda De Luca-Severino, ma non risultano altri magistrati indagati. Prima tappa: De Luca, eletto governatore a maggio scorso, il 27 giugno viene sospeso dal premier Renzi. Il 2 luglio, il giudice civile Gabriele Cioffi, con provvedimento d’urgenza e quindi senza ascoltare le parti – dettaglio: lo fa il giorno prima di andare in pensione – dà ragione a De Luca e sospende la “sospensione” per il governatore, rimandando il merito della vicenda al collegio della prima civile. È qui che si innesterebbe la corruzione.
Articolo intero su La Repubblica del 11/11/2015.
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