Nel vertice con Biden riconosciuto lo sforzo italiano sui fronti caldi Uno dei siriani fermati a Orio al Serio accusato di essere un terrorista.
ROMA – C’è anche il riconoscimento di Joe Biden tra gli argomenti che Matteo Renzi usa per rispondere a chi sostiene che l’Italia dovrebbe fare di più sul fronte anti- Is. La forza dei numeri, secondo Palazzo Chigi, avrebbe convinto il vicepresidente americano che siamo l’unico Paese a fare per intero il suo dovere nella lotta al terrorismo. Per la precisione, 5700 militari impegnati sugli scenari più caldi contro 2650 della Merkel. Un paragone non casuale, visto che è la notizia di 4 Tornado tedeschi inviati in Siria ad alimentare qualche perplessità sull’atteggiamento italiano.
Troppa prudenza? Troppa attenzione ai sondaggi interni che dimostrano il favore dell’opinione pubblica per l’intervento soft? Renzi risponde che «nessun altro Paese europeo ha tanti soldati sul terreno come il nostro». E se il governo tedesco manda oggi i suoi aerei, «noi abbiamo 4 Tornado da ricognizione e 2 droni in Iraq da oltre un anno». Mezzi che fonti della Difesa indicano come fondamentali per i bombardamenti di Francia e Regno unito contro le basi di Daesh. «Serve la presenza, la logistica e l’assistenza» per individuare i bersagli bombardati in questi giorni e sono forniti dal nostro contigente di 600 militari che diventeranno 750 entro l’anno divisi tra Erbil, Baghdad e la base aerea in Kuwait. Quindi, non si usa la parola “guerra”, non si parla di bombardamenti e tantomeno in Siria, ma non per questo l’Italia è defilata. Questa è la risposta del governo italiano.
L’intervento antiterrorismo resta comunque un lavoro in progress. Se è vero che Hollande non ha fatto richieste specifiche al premier italiano nella colazione all’Eliseo di giovedì, è anche vero che i comandi generali dei Paesi europei sono sempre in contatto. Significa non escludere un potenziamento della presenza italiana, significa mai dire mai a un futuro impegno diretto nel colpire basi del sedicente Stato islamico. Ma Renzi continua a fare l’esempio della Libia per sottolineare che una visione politica occorre in Siria, in Iraq, ma anche in Afghanistan, in Libano e Tripoli. Soprattutto a Tripoli che è vicinissima all’Italia. È la strategia diplomatica, come è stata disegnata a Vienna, che può consentire la transizione in Siria attraverso una nuova Costituzione e nuove elezioni senza Bashar el Assad. È ancora la politica che deve occuparsi di una stabilizzazione del governo iracheno grazie alla presenza militare della coalizione. Se non si vede l’insieme, la coperta, secondo Palazzo Chigi, sarà sempre troppo corta.
Così Renzi pensa di rispondere anche ai dubbi sulla “visione” italiana del conflitto. Armi e politica, compresa la sfida culturale lanciata dal Campidoglio con il miliardo di euro promesso. Ma «non accettiamo lezioni sulla lotta al terrorismo da nessuno», dicono a Palazzo Chigi. «Stiamo facendo il nostro dovere». La Francia continua a “reclutare” alleati e non si può escludere che tornerà alla carica anche con l’Italia per una nuova collaborazione. È uno step che verrà valutato più avanti perché oggi l’intervento italiano va bene così.
La risposta per ora è quella di un impegno “massimo” e di un’attenzione che Roma deve dedicare a quello che succede dentro i suoi confini. Tra poco più di una settimana comincia il Giubileo straordinario e non esiste messaggio dell’Is, video audio o scritto, in cui non venga segnalato come obiettivo Papa Francesco. La scelta è quella di dedicare altre risorse economiche alla sicurezza interna. Renzi si è presentato ieri al Teatro della Pergola di Firenze per aprire la Festa della Toscana. Manifestazione che dal 2000 ricorda il Granduca Pietro Leopoldo e l’abolizione della pena di morte del 1786. È l’occasione per tornare sull’Is. «Noi ai terroristi dobbiamo rispondere con i valori coltivati da Pietro Leopoldo. Non possiamo vivere nella paura. Se accettiamo di perdere la libertà, diventiamo come loro». Loro, i terroristi, continua il premier, «vogliono disintegrare il nostro modo di vivere. Noi dobbiamo rispondere con più teatri, più cultura, più ideali».
Articolo intero su La Repubblica el 29/11/2015.
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