L’avevamo lasciato senatore berlusconiano nel gennaio 2013, vigilia delle ultime elezioni, mentre dava l’addio alla politica: “Il mio contributo si è esaurito, ma non l’urgenza di una rivoluzione liberale” (sottotesto: non mi hanno capito). L’avevamo ritrovato nell’ottobre successivo, tra la folla dei 40 mila accorsi in piazza del Popolo a Roma a spellarsi le mani per Zagrebelsky, Rodotà, Pace, Carlassare, Landini, don Ciotti, Bonsanti e altri sotto il palco di Libertà e Giustizia, nella manifestazione “Costituzione, la via maestra” contro chi – Napolitano e i “saggi” del governo Letta – voleva scassinarla. Nel luglio 2014, regnante Matteo I, avevamo notato una sua intervista a La Stampa in cui tuonava contro “il testo della riforma del Senato… molto pasticciato… non risponde a una corretta logica istituzionale, tenta solo di mettere insieme interessi particolari”, perché “una riforma così importante non può essere affidata ai partiti e a un governo”: ci vuole “un’assemblea costituente, eletta col sistema proporzionale”.
E, “a forza di farle male, le riforme qualche rischio autoritario lo portano con sé”. Ora indovinate un po’ che fa il ragionier Marcello Pera da Lucca? Ha fondato un Comitato del Sì alla riforma pasticciata, tiene simposii con quel che resta di Scelta Civica e con i giureconsulti verdiniani di Ala. Tant’è che Renzi – passando sopra alle sue origini lucchesi e non fiorentine – sta pensando di arruolarlo come front man della Nuova Costituzione in vista del referendum. Non è meraviglioso?
Confrontati con la sua vita avventurosa, i Camel Trophy sono noia mortale. Bocciato in seconda media, diplomato in ragioneria, laureato in Filosofia, impiegato di banca e poi docente di Epistemologia (Gianni Vattimo non s’è mai perdonato di averlo promosso al concorso), il nostro Marcello riuscì financo a spacciarsi per filosofo. Anzi, di più: erede universale di Karl Popper, ma solo dopo la morte di quest’ultimo. Di origini radicali, negli anni 80 era un fervente craxiano e scriveva sul Messaggero (un giorno, sentendolo parlare, Cesare Musatti commentò: “Ora capisco cosa s’intende per ‘ragionamenti a pera’”). Poi passò a La Stampa e divenne un feroce anticraxiano, giustizialista e fan di Di Pietro e dei pm tutti contro i craxiani corrotti (invocava “una nuova resistenza e poi una vera, radicale, impietosa epurazione” e tuonava contro “il garantismo pernicioso”). Appena B. si buttò in politica, Pera lo fulminò: “È a metà strada tra un cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie”.
Non solo: “È una roba che avrebbe ispirato e angosciato il povero Fellini” (7.2.1994), “ha fatto i soldi col regime” e dovrebbe “scegliere fra interessi privati e interessi dei cittadini” (10.4.1994). Pochi mesi dopo corse a iscriversi a Forza Italia, scoprì che “il Cavaliere ha salvato la libertà degli italiani” e cominciò a inneggiare al garantismo, a difendere i tangentari e a insultare i giudici. Nel 1996 entrò in Parlamento, per non uscirne che 17 anni dopo. Tra il 2001 e il 2006 fu persino presidente del Senato, seconda carica dello Stato: per fortuna la prima, cioè Ciampi, godette sempre ottima salute. A Palazzo Madama, l’Hegel di Lucca entrò mangiapreti e cinque anni dopo ne uscì baciapile. Nel frattempo era stato folgorato sulla via del Vaticano, e pure dei neocon americani, al seguito del suo spirito guida Giuliano Ferrara, che aveva aiutato a fondare il Foglio a spese nostre creando un finto partito con Marco Boato (la sedicente “Convenzione per la Giustizia”). Pera, infatti, è come Picasso: c’è il periodo rosa, il periodo giallo, il periodo azzurro ecc. Filosoficamente, dopo il pensiero debole, ha fondato il pensiero intermittente. “Non dobbiamo infilare Dio nella Costituzione europea”, dichiarava nel 2002. Ma nel 2004, con agile piroetta, strillava: “Abbiamo dimenticato la nostra identità giudaico-cristiana, anzi non abbiamo nemmeno la forza di nominarla nella Costituzione europea”. E così fondava la sua nuova scuola di pensiero: la teologia miscredente.
Nel 2007 era alla testa del Family Day contro le unioni civili di Prodi (i timidi Dico). Firmava libri a quattro mani con Ratzinger. Si batteva a mani nude contro l’eterologa. E pontificava ai Meeting di Cielle. Salvo poi, un paio d’anni dopo, tornare alle origini e sbraitare contro “il rischio clericale” e la nuova edizione del Family Day, “vissuto come una processione politica al seguito della gerarchia ecclesiastica”. Le sue discese ardite e le risalite ispirarono una battuta a Daniele Luttazzi: “Quando sento parlare Pera, mi viene sempre da chiedergli: scusi, è una sua opinione o ha scoreggiato?”. Ormai ramingo in cerca della sua vera identità, il ragionier filosofo volò anche ad Hammamet a spese del Senato per rendere omaggio alla tomba di Craxi, che “è un grande patrimonio di tutti gli italiani” (forse voleva dire: Craxi ha un grande patrimonio, che è di tutti gli italiani e andrebbe restituito). Come gli anziani che, a una certa età, regrediscono all’infanzia, era semplicemente tornato al craxismo. E ora, dopo avere scomunicato quel B. che gli ha garantito 4 legislature in prima fila, torna pure al berlusconismo. Ma per interposto Renzi, in cui vede il Caimano dei bei tempi, l’ultima spiaggia prima del “baratro” e l’ultimo scassinatore dell’odiata Costituzione che purtroppo B. non riuscì a rovinare.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 13/07/2016
Quello che c’era da dire su Marcello Pera, lo disse già Francesco Cossiga in Senato: uomo di incerte origini e, aggiungo io, buono per tutte le bandiere.