L’intervista.
Il leader lascia la Fiom “Politicamente non mi sento rappresentato da nessuno, sto con la Cgil. Bisogna recuperare quel 50% che non va a votare”.
ROMA – Maurizio Landini lascia la Fiom di cui aveva assunto la guida nel 2010. L’11 luglio l’assemblea della Cgil lo eleggerà membro della segreteria nazionale della Cgil. Il prossimo anno nel congresso si deciderà anche il successore di Susanna Camusso, Landini è tra i potenziali candidati. Ma in questa intervista ragiona soprattutto della sinistra politica. Anzi, della sinistra che non c’è. «Perché — dice il segretario generale uscente della Fiom — io penso che ci sia ancora una differenza tra destra e sinistra. La discriminante è il lavoro, la rappresentanza del mondo del lavoro. Nessuno rappresenta più questo mondo. Nessuno ha un progetto per cambiare il modello sociale. Per questo non c’è più la sinistra ».
Il Pd di Renzi non è un partito di sinistra?
«Renzi non è di sinistra. Lo dice lui, non io», Eppure lei e Renzi vi siete lungamente corteggiati.
«Poi lui ha scelto Marchionne, ha cancellato l’articolo 18, ha varato il Jobs act. C’è stata il referendum costituzionale nel quale la Cgil si è tutta schierata per il no. Renzi non è più a Palazzo Chigi ed è il segretario di un partito che perde ruolo e consenso nel Paese».
Lei in quale sinistra si riconosce oggi? Con chi sta?
«Oggi non sto con nessuno. Sto con la Cgil. La precondizione perché oggi possa ricostruirsi la sinistra è l’unità del mondo del lavoro, superare la frantumazione che si è determinata in questi anni ».
Ma il movimento di Bersani che richiama l’articolo uno della Costituzione non si muove proprio in questa direzione?
«Bisogna muoversi con un’idea di progetto non minoritario perché come diceva Totò “non è la somma che fa il totale”».
Cosa pensa dell’iniziativa di Pisapia?
«In generale penso che sia sempre utile e positivo muoversi per tentare di recuperare quel cinquanta per cento e passa di cittadini che non vota più. Il problema è innovare nelle proposte, recuperare la centralità del lavoro ed elaborare 5/6 questioni sulle quali costruire un progetto».
È vero che dalle nuove aggregazioni della sinistra, da Sinistra italiana all’iniziativa di Falcone e Montanari, le sono arrivate richieste per una sua discesa in campo?
«Il faccio il sindacalista».
Da sindacalista ha promosso la Coalizione sociale che si è rivelata un flop.
«Non sono d’accordo. L’idea della coalizione nasce esattamente con l’intento di ricomporre ad unità il mondo del lavoro. Non mi pare che a questa domanda sia ancora data una risposta. A un sindacato autonomo e indipendente dalla politica spetta anche il compito di avanzare proposte tanto più in un contesto in cui si punta da più fronti alla disintermediazione sociale, da una parte Renzi, dall’altra il Movimento 5 stelle».
Ma l’avanzata dei populismi non è anche effetto del vuoto lasciato, per la sua parte, dal sindacato?
«Non credo sia un problema del sindacato. Certo noi dobbiamo innovarci, tornare a rappresentare tutto il lavoro e recuperare credibilità dopo la ferita rimasta aperta delle riforma pensionistica di Monti. A cosa è servito in quel caso il sindacato?».
Articolo intero su La Repubblica del 29/06/2017.
Rispondi