Anteporre una buona scuola professionale a una mediocre e tardiva laurea, come ha fatto il viceministro Martone, significa affrontare un tabù. Nella tradizione classista del nostro Paese, le scuole professionali e i lavori manuali sono considerati da sempre lo sbocco naturale dei figli dei poveri; la laurea, il dovuto approdo dei figli dei ricchi. E dunque, quel politico che faccia l´elogio delle scuole professionali rischia di passare per un reazionario che non vuole aprire a tutti le porte dell´università.
Ma io credo che Martone alludesse a un´altra verità, tutt´altro che reazionaria: tra un “dottore” dequalificato e mal pagato e un artigiano che sa il fatto suo, chi se la passa meglio? La destrezza manuale è, tra l´altro, cultura essa stessa, specie in un Paese di artigiani e tecnici sopraffini quale siamo da qualche secolo. Il disprezzo per il lavoro manuale in quanto tale, e per scuole professionali a volte ben più brillanti e funzionali di certi deprimenti atenei, è uno dei veri grandi problemi dei nostri figli. Convinti, anche per colpa nostra, che un dottorato a prescindere valga un´autorevolezza sociale che solo il lavoro (anche manuale) è invece in grado di dare. Una società di piccolo-borghesi frustrati non è affatto migliore di una società di artigiani e operai realizzati.
Da La Repubblica del 25/01/2012.
Un Serra a dir poco delizioso
Sono convinto di questo. Allora si lasci l’università ai più bravi mettendo dei vincoli sulla durata del corso di studi (5 anni al massimo 1 anno fuori corso leggevo da qualche parte). Si chiudano gli atenei minori, come quello di Teramo, e si lascino solo i docenti eccellenti per gli studenti eccellenti. Non so bene chi abbia prescritto che tutti debbano fare l’università. Se l’Italia da questa possibilità, bisogna consentire di viverla ad ognuno a modo suo anche se con difficoltà.
Spesso gli studenti sono disorientati sia dal percorso di studi che da altri avvenimenti nelle loro vite.
Si potrebbe cercare in qualche di aiutarli e creando nuovi enti all’interno dell’università e rinforzando quelli che ci sono.
Spesso le scuole dell’obbligo non aiutano la formazione dello studente fornendo un metodo di studio. Oggi, molti ragazzi escono dalle scuole senza essere abituati a studiare per ore. Inoltre, non riescono ad esprimere pensieri in forma scritta o riassumere un brano. Questo rende l’università più complicata e difficile da affrontare senza un valido metodo acquisito. L’efficacia e l’efficienza nello studio andrebbe insegnata dalle prime scuole.
Inoltre, non penso che l’essere portato o meno per un mestiere dipenda dagli anni impiegati per laurearsi. Per quanto possa essere banale, come anche sottolineava il ministro, i tempi dipendono dalle ore di studio. Se vuoi dimezzare i tempi devi semplicemente studiare il doppio. Si è abituati a farlo?
La crisi è nel sistema scolastico italiano. Negli altri paesi hanno un sistema scolastico migliore? Come funziona la scuola dell’obbligo negli altri paesi?
Ma perchè dobbiamo legare lo studio solo al lavoro: si può prendere una laurea in lettere e poi fare il falegname. O è troppo pericoloso avere persone con una cultura in ogni angolo della società?
sì… a 26 anni, con le manine morbide quale falegname non ti prenderebbe a faticare? ma basta con queste fiabesche cialtronerie. siate realistici: se uno studia lettere per puro diletto… è perchè vive di rendita, altrimenti è un pazzo.
ma se uno vuole intraprendere una precisa professione (architetto, ingegnere, avvocato, chimico ecc.) è OVVIO che questo voglia poi campare di quello che ha studiato (e che presumibilmente ama).
l’università deve selezionare MERITOCRATICAMENTE e poi agevolare il passaggio al mondo del lavoro. non lo dico io, ma tutte le università migliori del mondo.
è giustissimo quello che dici stefano, ma credo che il motivo per il quale ci siano pochi laureati che fanno gli artigiani sia che per imparare un “mestiere” ci vogliano anni e anni di apprendistato e quindi generalmente si comincia subito dopo il diploma se non dopo la scuola dell’obbligo. io sogno una società “elastica” dove il figlio del notaio possa fare tranquillamente l’operaio o l’artigiano se la sua indole è quella e il figlio dell’operaio e del contadino possa fare l’avvocato o il medico . se quest’ultima cosa oggi è molto più diffusa che in passato (fortunatamente) la prima no: difficilissimo che un figlio di professionista si “abbassi” a fare un lavoro manuale… mentalità classista, come diceva serra.
La verità è che se non sei laureato in aziende grandi non ti assumono nemmeno per consegnare la posta.
Io divento cieco dentro quattro mura, davanti ad un computer, dovendo stare dietro a dementi che non capiscono una parola o che non vogliono lavorare, dopo aver passato 5 anni all’università e 2 a fare corsi che si sono rivelati inutili, tutto questo per due lire… che devolvo al mio idraulico che va in giro tutti i giorni, beve caffè e non fa praticamente nessuno sforzo. Tornassi indietro imparerei un mestiere tutta la vita! Anzi, una mattina prendo, mollo tutto e vado a fare il pane.
classismo è usare il termine sfigato in senso dispregiativo…il signorino martone perchè non parla di baronato e di docenti che decidono i programmi in modo arbitrario? martone è un reazionario, come serra del resto, dato che hanno sempre usufruito di uno status di privilegiati e lo vogliono difendere sviando l’attenzione.
Il fatto che i nostri studenti non si laureino nei tempi canonici costituisce un problema da affrontare seriamente (cosa che mi guardo bene dal fare in questa sede). Innanzitutto non mischiandolo con la “questione dei fuori corso strutturali”. Questi fuori corso sono in larga parte persone che scelgono di frequentare l’università con i propri tempi di vita, conciliando studio e lavoro. In generale sono studenti che pagano le tasse, che non usufruiscono dei servizi agli studenti approntati dagli Atenei. Gravano è vero sulla “produttività” dell’Ateneo, penalizzandolo con riferimento ai trasferimenti del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario) da parte dello Stato. Basterebbe togliere questi studenti dalle statistiche, creando per loro un apposito elenco. Questi studenti di lungo corso e solo loro apportano solo benefici alle Università e alla Nazione, nel momento in cui finanziano gli Atenei ed elevano la loro cultura e professionalità. Si tratta di un lifelong learning all’italiana. Non sempre le nostre peculiarità sono da ascrivere nel registro delle negatività: un po’ di pensiero laterale, signori accademici!
Disprezzo del lavoro manuale… disprezzo del lavoro intellettuale sottopagato e precario… perchè non parlare del disprezzo del lavoro in generale, allora? Forse bisognerebbe ripartire dalla definizione di lavoro in quanto opera propria prestata dietro corrispettivo monetario. Finché il lavoro rimae qualcosa di elargito per qualcun altro al di fuori del lavortore, non si può prescindere da qualche forma di disprezzo. Soprattutto non si può far coincidere l’apprezzamento con il valore economico, come se questo fosse l’unica unità di misura.
Il vero problema è che le nostre università sono diventate delle grandi scuole superiori! Prima se eri figlio di operaio e volevi studiare potevi investire sul tuo futuro e poi, con fatica, realizzavi il tuo sogno. Ora una laurea, generalmente, non vale nulla e allora vanno avanti solo quelli che dopo laureati hanno gli agganci giusti, per gli altri non restano che due strade: fare i vitelloni a vita (solo i ricchi possono permetterselo) o andare a lavorare subito!
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