La risposta violenta della polizia nasconde l’impotenza del governo nel gestire la crisi.
Teste spaccate, manganelli, lacrimogeni, fermi, arresti. Gli studenti scendono in piazza ed è subito guerra. È successo in decine di città, a inaugurare il nuovo anno di una scuola immiserita dai tagli e dalla povertà culturale, a gridare la propria paura per come le cose stanno andando. Un futuro da precari. Nessuna garanzia. Nessun peso sociale. Il bell’esempio dell’adulta e maschia classe dirigente del Paese che implode, si avvita sulla sua avidità, sprofonda nel fango. La preoccupazione per le famiglie, a carico delle quali vivranno nei prossimi dieci anni (se bastano), minacciate dalla crisi economica.
E POI la consapevolezza di essere stati depredati del loro sacrosanto diritto di sperare. C’è di che scendere in piazza, pacificamente e doverosamente. Perché ciascuno di noi ha il diritto/dovere di testimoniare, per la sua parte, quanto patisce il disastro complessivo e di chiedere la sua parte di cambiamento. A dieci anni dalla vergogna dei “fatti di Genova”, a pochi mesi dalla condanna di (alcuni) responsabili del massacro della Diaz, mi sarei aspettata un comportamento esemplare da parte delle forze dell’ordine. Mi sarei aspettata protezione da eventuali provocazioni e rispetto per l’esercizio di un diritto/dovere. E riconoscenza, sì, anche riconoscenza, per chi, ancora una volta, nonostante lo spettacolo dell’agonia di un ceto di amministratori della cosa pubblica, continua a credere nella politica, tanto da uscire dalle aule di scuola, occupare le strade, proporre slogan, prendersi per mano, presentare il conto del proprio disagio a chi è responsabile della morta gora in cui dibattiamo tutti.
Mi sarei aspettata ordine e silenzio. Invece no. Invece di ringraziare, per essere stato considerato ancora una volta, un interlocutore, qualcuno incarica il suo braccio armato di adottare quella difesa preventiva che si chiama repressione.
È UN BRUTTO segno, per questo battesimo d’autunno. È un brutto segno perché, se decine di cortei in decine di città italiane vengono aggrediti, le migliaia di lavoratori minacciati nel loro diritto al lavoro, i cittadini taglieggiati dalla raffica di aumenti, e tutti gli altri aventi diritto alla protesta, come manifesteranno il proprio dissenso? Tutti chiusi in casa a piangere? Non c’erano i comodi black blok, né i “raffinatissimi nemici della democrazia” evocati dal professor Vasaturo, c’erano i figli di vent’anni di cattivo governo, le vittime innocenti degli sprechi di danaro pubblico, corteggiati a parole da tutti i partiti, ignorati od ostacolati quando cercano di prendere in mano il loro destino. I responsabili delle forze di polizia non hanno avuto una parola di autocritica, non hanno richiamato all’ordine gli agenti che hanno trascinato via per i capelli ragazzine di 16 anni. Poche voci si sono levate in difesa dei manifestanti. Il rischio, allora, è che si moltiplichi l’esempio di Palermo, dove un gruppo di diciottenni ha appiccato fuoco alla propria tessera elettorale. La prima.
Da Il Fatto Quotidiano del 07/10/2012.
Perchè non proponiamo ai nostri giovani di arruolarsi in polizia? Forse le cose potrebbero cambiare.,ma dovrebbere essere in tanti..pochi rischiano di diventare come questi che ci sono ora
[…] Finora le hanno buscate gli studenti, scesi in corteo nei giorni scorsi per protestare contro il progressivo smantellamento della scuola […]
[…] botte per tutti – Lameduck – Finora le hanno buscate gli studenti, scesi in corteo nei giorni scorsi per protestare contro il progressivo smantellamento della scuola […]
Se ci fosse democrazia ogni ministro prima di legiferare dovrebbe incontrare una commissione che rappresenti le persone che la legge toccherà,in questo caso gli studenti ed esaminare insieme tutti gli aspetti toccati dalla legge.Fare le leggi con decisioni insindacabili fà parte della dittatura.