Francesco incontra a Santa Marta sei vittime di abusi sessuali “Le omissioni pesano sul mio cuore e su quello della Chiesa”.
CITTÀ DEL VATICANO – Nel suo incipit la Chiesa era intransigente verso gli stupratores puerorum, gli stupratori dei bambini. Poi qualcosa è cambiato, soprattutto a causa dei peccati di omissione di alcuni vescovi che al posto di punire spostavano i colpevoli di diocesi in diocesi facendo finta di non vedere che, in questo modo, moltiplicavano crimini e sofferenze. Il morbo, non estirpato, si diffondeva. Lo ha riconosciuto ieri anche papa Francesco in una delle omelie più gravi del suo pontificato: «I capi della Chiesa non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso presentate da familiari e da coloro che sono stati vittime di abuso».
Gli abusi, e in particolare i suicidi di chi non ha retto alla pena, «pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza, e su quella di tutta la Chiesa». Per questo, «chiedo perdono anche per i peccati di omissione». E ancora: gli abusi sono «atti esecrabili che hanno lasciato cicatrici per tutta la vita». I sacerdoti coinvolti sono colpevoli di aver «profanato la stessa immagine di Dio».
Convitto di Santa Marta, ieri mattina. Per la prima volta sei vittime di abusi sessuali commessi da preti (tre uomini e tre donne provenienti da Germania, Irlanda e Regno Unito) entrano nella casa del Papa, partecipano alla messa e poi dialogano con lui. «Ciascuno di loro — ha detto padre Federico Lombardi — ha avuto un incontro personale con Francesco di circa mezz’ora». Anche Benedetto XVI incontrò le vittime durante i viaggi apostolici negli Stati Uniti, in Australia, Malta, Regno Unito e Germania. Il suo gesto ruppe una inconcepibile ipocrisia. Bergoglio, tuttavia, fa qualcosa di più: invita le vittime direttamente a casa sua. Li fa entrare
dove, fino a qualche anno fa, i loro nomi creavano soltanto imbarazzo e irritazione. Erano come appestati, le vittime. Mentre ora il paradigma è ribaltato. Già di ritorno dal viaggio in Terra Santa Francesco aveva detto ai giornalisti che il crimine di pedofilia è paragonabile a una «messa nera». E di culto sacrilego ha parlato ancora ieri, insieme confidando alle vittime il suo
stato d’animo: «Da tempo sento nel cuore un profondo dolore, una sofferenza, tanto tempo nascosto, dissimulato in una complicità che non trova spiegazione ». La pedofilia è «come un culto sacrilego perché questi bambini e bambine erano stati affidati al carisma sacerdotale per condurli a Dio ed essi li hanno sacrificati all’idolo della loro concupiscenza ».
È forse questa la riforma più importante che Bergoglio sta portando nella Chiesa. Non soltanto il rinnovamento della struttura vaticana. Ma anche, soprattutto, quella del clero. Ratzinger nella via crucis del 2005 al Colosseo picchiò duro contro la «sporcizia» presente nella Chiesa e aprì la via di questa riforma. Ma c’è voluto l’arrivo di un religioso al timone della
Chiesa per dare quell’esempio che oggi i vescovi diocesani non possono più disattendere. Un religioso come religioso è il cardinale Sean O’Malley arcivescovo di Boston. Fu lui fra i primi a rompere, dopo l’éra del cardinale Bernard Law, il tabù di una diocesi macchiata da crimini orrendi commessi dai suoi preti. Dal nord America un vento nuovo entrò nella Chiesa. Non a caso è al cappuccino O’Malley che il gesuita Francesco ha affidato la Commissione per la Tutela dei Minori creata lo scorso dicembre. Una Commissione che ha aperto le porte alle vittime, ora di casa fra le sacre mura.
Da La Repubblica del 08/07/2014.
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